Roma - Lei ha già deciso. «Le mie dimissioni da sottosegretario sono pronte». Michaela Biancofiore è una di quelli che in caso di conferma della condanna del Cavaliere da parte della Corte di Cassazione cercheranno il gesto eclatante di solidarietà. «Noi siamo quel che siamo grazie a Berlusconi e gliene siamo grati», dice a Repubblica la sottosegretaria, che non esiterebbe a far saltare il tavolo. E garantisce: «Lo abbiamo deciso in assemblea di gruppo, tutti d'accordo». E invece no. Le dimissioni di gruppo dei parlamentari del Pdl e l'uscita dalla maggioranza di governo sono solo uno degli scenari dell'ipotetico day after del Pdl. E al momento in base alle voci che filtrano dalla War Room di via dell'Umiltà non sembra il più probabile.
Il fatto è che le anime del partito sono diverse: non certo tante e tanto lontane quanto quelle del Pd, il partito che vivrà oggi davvero con il fiato sospeso; ma abbastanza da non rendere ben decifrabile quello che accadrà dopo che piazza Cavour avrà battuto il suo colpo. Tre le componenti: i falchi, le colombe e i gabbiani. I primi, quelli che dopo Berlusconi il diluvio. I secondi, quelli che la tenuta del governo Letta prima di tutto. I terzi, quelli che ondeggiano tra massimalismo e realismo e se la cavano pilatescamente: «Deciderà Berlusconi».
L'idea forte del falco è riassunta da un'altra frase della Biancofiore: «Siamo alla vigilia del giudizio universale». L'altra iscritta al gruppo degli apocalittici è, manco a dirlo, Daniela Santanchè, che parla di «attentato alla democrazia» e di «persecuzione di vent'anni», e chiama la piazza alla rivolta: «Di fronte a un simile schiaffo 10 milioni di elettori certo non rimarrebbero in silenzio». Con loro Denis Verdini, nelle ultime ore tra i più assidui nel consiglio di guerra del Pdl.
Ma la realtà spunta un po' le unghie dei leoni. Le dimissioni di massa sono improbabili, un po' per ragioni tecniche - non ci sono precedenti - un po' perché lo stesso Berlusconi ha mandato messaggi concilianti sul futuro di Palazzo Chigi. Ma nessuno può far finta che la decisione del Palazzaccio non abbia una valenza politica. Certo, c'è Renato Brunetta che prova «forte disagio verso una sentenza che non determinerà solo un procedimento penale». Al momento sembrano prevalere quelli per cui la tenuta del governo Letta non è in discussione. Gaetano Quagliariello ne è il portabandiera e non solo perché ministro per le Riforme: «La sentenza non segnerà le sorti dell'esecutivo», ripete come un mantra. Tra i moderati, pur se con qualche se e qualche ma, anche Fabrizio Cicchitto: «Nel caso in cui Berlusconi venga condannato - afferma - sarà lui a decidere quello che faremo sul piano del governo e su altri piani e seguirà queste scelte anche chi, come il sottoscritto, continua a ritenere che questo governo sia una sorta di ultima spiaggia per la tenuta democratica del Paese».
E poi ci sono gli attendisti. Mariastella Gelmini è agitatissima: «Fermo restando che sarà Berlusconi a decidere le mosse successive al 30 luglio, rimane l'ansia per una sentenza che potrebbe cambiare gli equilibri e danneggiare il Paese». Osvaldo Napoli da un lato rassicura («Il governo Letta andrà avanti e questo fatto sarà di enorme imbarazzo per le altre forze politiche») e dall'altro inquieta («Dopo il 30 luglio cambierà tutto, quale che sia il verdetto»). Maurizio Lupi non fa scommesse: «Essendo un governo politico la decisione spetterebbe ai partiti, al Pdl così come al Pd. E non potrebbe che essere una decisione assunta nella collegialità del Pdl con il suo leader».
E Mara Carfagna vede nubi nere: «La sentenza della Corte di Cassazione sarà lo spartiacque tra un futuro di libertà e uno nebbioso, in cui il rischio di ingerenza di una parte sul tutto è destinata ad alterare e distorcere le normali attività e dinamismi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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