Contrordine grillini. Ammesso che si possano ancora chiamare tali. Il vocabolario del Movimento è precipitevolmente cambiato, urge rinnovare il parco lemmi a disposizione. Bisogna passare subito dalle vecchie ruvidità a una nuova morbidezza, dalla maleducazione alle buone maniere e, per cominciare, dalle parolacce alle parole.
Lunedì un rutilante Giuseppe Conte, estasiato dalla vittoria elettorale in Sardegna, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera dall'altissimo tasso glicemico. Comprendiamo la sbornia di aver portato a casa il primo governatore di regione della storia del Movimento 5 Stelle, ma c'è dell'altro: cioè un cambio di passo semantico che all'interno della galassia fondata dal comico Beppe Grillo e dal guru Gianroberto Casaleggio è una vera e propria rivoluzione.
Buono, gentile e mite. Appuntatevi mentalmente queste parole, perché sono le nuove tre stelle comparse nel firmamento grillino. Una vera e propria supernova rispetto all'armamentario precedente, barbarico e aggressivo. Ma, attenzione, i lavori di maquillage sono in corso e - alla faccia del Nimby e della decrescita felice - vorrebbero essere delle grandi opere. Il partito nato sull'assioma del «vaffanculo», dopo averlo ristretto in un più corretto «vaffa» ora cerca di sbianchettarlo del tutto e indossa la maschera dell'educanda.
Buono, gentile e mite. Eccola la nuova trinità dell'educazione di cittadinanza. La nuova missione di Giuseppe Conte è pochettizzare i barbari grillini, infilargli un candido fazzoletto bianco nel taschino della giacca. Dalle cinque stelle alle quattro punte, della pochette, ovviamente.
Ma torniamo all'intervista di Conte, nuovo manifesto delle buone maniere del movimento. Innanzitutto il campo largo è diventato «il campo giusto», che sembra una deriva paninara, ma invece è il «nuovo corso» urbano e civilizzato dei 5 Stelle. E poi la svolta ufficiale in un virgolettato autocelebrativo: «Mi hanno definito populista gentile, oggi mite. Vanno bene entrambi. Nella sua accezione più alta, di vicinanza ai bisogni e alla sensibilità dei cittadini, non è un'offesa». Tutt'altro. Ma dovrebbe spiegarlo innanzitutto ai suoi compari che per più di un decennio hanno usato l'offesa come principale strumento politico. E continuano a farlo. Non più tardi di ieri pomeriggio, difatti, giusto per ricordare all'avvocato di Volturara Appula l'anima più ruspante del movimento, tale Silvia Noferi, consigliera pentastellata alla Regione Toscana, disquisendo nella pubblica assise sugli scontri a Pisa e Firenze della scorsa settimana, ha avuto modo di esprimere il suo mite e gentile pensiero: «Avranno pure preso degli sputi (i poliziotti, ndr), ma io dico che forse se li sono anche meritati». Delicatissima, potremmo dire scomodando alte citazioni.
Ma, d'altronde, se per anni hai berciato minacce ai politici dai palchi di mezz'Italia, hai dileggiato tutte le istituzioni, hai minacciato di aprire i palazzi del potere come una scatoletta di tonno (per altro e per fortuna senza farlo), hai messo alla gogna i giornalisti non compiacenti, hai sdoganato lo squadrismo digitale e seminato odio tramite
le scie chimiche di un'ideologia tossica, beh, dopo tutto questo, non basta usare qualche sinonimo all'aspartame per camuffarsi il dna.Anche se il tentativo è, senza dubbio, buono, gentile e mite. Almeno all'apparenza...
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