È impietoso il testo integrale reso noto dalla Sala Stampa della Santa Sede della requisitoria e della sentenza di rinvio a giudizio per furto aggravato dell'ex aiutante di camera del Papa Paolo Gabriele (46 anni), reo confesso di aver fotocopiato documenti riservati dalla segreteria particolare di Benedetto XVI e di averli consegnati al giornalista Gianluigi Nuzzi, che li ha pubblicati nel libro «Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI» (Chiarelettere). Impietoso, non tanto perché dice che Gabriele è rinviato a giudizio e dunque presto processato. Ma perché dice testualmente che Gabriele è l'unico responsabile di Vatileaks, coadiuvato (ma ancora non ci sono complici) da altre persone dipendenti del Vaticano delle terze e quarte file. Non, dunque, monsignori o porporati, bensì laici, insomma bassa manovalanza. Di una di queste persone si conosce l'identità: è un tecnico informatico della segreteria di stato, Claudio Sciarpelletti, che viene rinviato a giudizio solo per favoreggiamento: dalla sentenza si evince che a motivare il suo arresto - avvenuto il 25 maggio in Vaticano e durato un solo giorno - è l'essere stato trovato in possesso di una busta contenente alcuni documenti riguardanti indagini della gendarmeria vaticana (finiti nel libro di Nuzzi) e l'aver dato versioni contrastanti circa la sua conoscenza con Gabriele. L'ex maggiordomo ha rubato probabilmente per guadagnare alle spalle del Papa, convinto con ogni probabilità d'essere intoccabile, irraggiungibile nel suo delicato lavoro nel terzo piano del palazzo apostolico. Sempre, dalla mattina alle sei alla sera alle nove, in contatto con Benedetto XVI. Lo vedeva nelle sue occupazioni quotidiane, ne ascoltava i discorsi a tavola, e poi trafugava, rubava i suoi testi e documenti riservati.
La perizia pischiatrica
Gabriele si sentiva «un infiltrato dello Spirito Santo», proprio così. Uno che doveva agire in questo modo non per proprio tornaconto, diceva, ma per salvare Papa Ratzinger dai suoi nemici. Da chi esattamente? Difficile rispondere. Se l'è chiesto anche il Vaticano che non a caso ha predisposto una perizia psichiatrica dalla quale si evince che Gabriele è una personalità fortemente «suggestionabile», manipolabile dicono alcuni. Egli, probabilmente, riteneva che le persone che per prime dovevano coadiuvare il Papa nel suo lavoro quotidiano non erano all'altezza, su tutte il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone e il suo segretario particolare Georg Ganswein, e che per questo lui doveva intervenire. E con lui sono intervenuti altri laici di basso livello in Vaticano. Forse anche qualche amico esterno, ma ancora altri complici non ci sono.
«Infiltrato dello Spirito Santo»
Gabriele ha detto di aver rubato i documenti «spinto da diverse ragioni». «Ritenevo - ha infatti spiegato - che il sommo Pontefice non fosse correttamente informato. Vedendo male e corruzione nella chiesa ero sicuro che uno schok, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la chiesa all'interno del suo giusto binario... In qualche modo pensavo che nella chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato». Un unto incaricato di svolgere una missione per la salvezza della chiesa, che sceglie Nuzzi perché a differenza di altri giornalisti, gli sembra essere «persona preoccupata di dare informazione senza gettare fango e senza calunniare altre persone». Ha poi sostenuto di non aver voluto agire per soldi. Nella sua abitazione però è stato trovato un assegno di centomila euro intestato al Papa, datato 26 marzo 2011, proveniente dall'Università Cattolica San Antonio di Guadalupe. L'assegno non è trasferibile. Difficile sapere come avrebbe fatto a cambiarlo. E ancora, sono state trovate una pepita d'oro e una cinquecentina dell'Eneide del 1581.
Il colloquio col padre spirituale
Pare che della sua attività parallela Gabriele abbia parlato col suo padre spirituale. A questi, indicato nella perizia con una sigla, il maggiordomo del Papa ha consegnato una scatola di documenti (forse gli stessi dati a Nuzzi). Il sacerdote l'ha conservata ma poi ha deciso di distruggere tutto, rendendosi conto - anche se non subito - della gravità del fatto e della delicatezza del materiale. Inoltre questo stesso direttore spirituale avrebbe consigliato in un primo momento al maggiordomo di negare le sue responsabilità e di ammetterle soltanto davanti al Papa.
Perché ha scelto Nuzzi
Paolo Gabriele ha dato spiegazioni a riguardo alle motivazioni che lo hanno spinto a mettersi in contatto con Gianluigi Nuzzi. L'aiutante di camera ha detto di essere rimasto colpito dal primo saggio del giornalista, «Vaticano SPA», e di essere venuto a conoscenza tramite il web del fatto che Nuzzi stava preparando la trasmissione «Gli Intoccabili». Ha quindi trovato l'indirizzo della redazione romana del programma e contattato il giornalista, incontrandolo più volte, in un appartamento di viale Angelico, dov'è avvenuta anche l'intervista camuffata che lo stesso maggiordomo ha ammesso di aver rilasciato.
L'inchiesta e il mandante
L'inchiesta vaticana si chiude per quanto riguarda il rinvio a giudizio per furto aggravato (Gabriele) e favoreggiamento (Sciarpelletti), ma continua per quanto riguarda altre ipotesi di reato più gravi (delitti contro lo Stato; delitti contro i poteri dello Stato; vilipendio delle istituzioni dello Stato; calunnia; diffamazione; furto aggravato; concorso di più persone in reato; inviolabilità dei segreti), e dunque continua per quanto riguarda la divulgazione dei documenti ed altre eventuali persone a vario titolo coinvolte. Dalla requisitoria del promotore di Giustizia Nicola Picardi e dalla sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Piero Antonio Bonnet si è venuti a conoscenza dei vari testimoni sentiti: tra questi don Georg Gänswein, segretario del Papa. Chi ha indagato ha attestato la buona fama che circondava Gabriele e la sua religiosità.
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