Ma così i bambini diventano oggetti di mamma e papà

Il tribunale civile di Milano mette nuovamente in discussione la legge 40. E solleva dubbi sull'incostituzionalità

Ma così i bambini diventano oggetti di mamma e papà

Per legittimare una famiglia, non sono necessari i figli. Né i figli devono tenere insieme una famiglia.
L'immaginazione del giudici italiani ha però un altissimo grado di fertilità. L'ultima sentenza nata nei Tribunali afferma che il divieto di fecondazione eterologa mina la serenità e la stabilità della vita familiare; ragione per cui la legge 40 del 2004 deve essere sottoposta all'esame della Consulta, per verificarne la costituzionalità. Secondo i giudici, infatti, l'impossibilità di ricorrere a un donatore estraneo, «quando la coppia eterosessuale è sterile o infertile», «condiziona la libertà di realizzare la propria vita familiare».

Ormai, cioè, il principio categorico sembra essere diventato quello per cui se non ci sono figli, non c'è famiglia. Il che vale a dire che i figli devono supportare e sopportare con la loro esistenza il progetto della coppia che, in loro assenza, non si «realizza». In sostanza i figli costituiscono lo strumento dell'affermazione degli adulti. Sono quindi, nel pensiero comune, oggetti e non soggetti di diritto; prima di essere meritevoli della più ampia tutela giuridica e affettiva, sono indispensabili a due adulti impossibilitati a «realizzare la propria vita familiare». Dobbiamo concordare con Nietzsche? Scriveva: «Di solito la madre, più che amare il figlio, si ama nel figlio».

Così la coppia, dunque - che vuole un figlio a ogni costo, per «amarsi» nel figlio. In questo modo, la ricerca della genitorialità diventa un caparbio percorso di guerra, nel quale si sbaragliano persone e sentimenti (nonché leggi dello Stato), nella cocciuta convinzione che la famiglia abbia un diritto indiscutibile. Spesso, però, anche quando il progetto è convinto e condiviso, la coppia si frantuma tra ormoni, operazioni, prelievi di semi e delusioni mensili. Quando appunto, non ci sono i viaggi all'estero e i costi per superare il divieto nazionale e per catturare un seme sconosciuto: è proprio lì, in quel fatidico momento della conquista del figlio necessario, che il calore dell'atto sessuale si sfalda. E corrompe i sentimenti. Nell'algida visualizzazione di una provetta del donatore anonimo. In quell'istante il maschio deve decidere di adottare un figlio prima ancora che venga concepito. Nel lutto psicologico della sua impotenza deve persino accettare la presenza di un virtuale misterioso amante che farà il figlio al posto suo.

E la femmina deve concedere al suo uomo, nel nome della famiglia, l'uovo di un'altra donna feconda. Con inquieta rassegnazione. E tutto questo, secondo i giudici, bisogna poterlo fare nell'interesse della famiglia. Così, in funzione della famiglia, perdendo di vista l'amore, rischiando lo sfaldamento dei reciproci sentimenti di appartenenza, nell'imbarazzo, la rabbia, il senso di inutilità? Se proprio bisogna smantellare l'ipocrisia che c'è sulla fecondazione eterologa e sul suo inattuale e antistorico divieto, e bisogna farlo, bisogna partire dai diritti individuali: ciascuno dei genitori deve poter scegliere, prima di tutto liberamente per sé, il percorso difficilissimo della fecondazione eterologa; in forza delle proprie personali convinzioni, attitudini, volontà. E, poi, discuterne con il partner, in funzione della capacità di assumere precise responsabilità a favore del figlio che verrà.

Così soltanto una famiglia può gratificare un figlio, e non viceversa, perché l'individualità non si deve perdere nel contenitore - famiglia. La famiglia non ha un diritto precostituito ad avere figli, ma deve essere capace di coltivare il diritto dei figli. Ciascuno dei genitori, in base a un proprio diritto - dovere e non a un ipoteca famigliare.

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