Così Pier Luigi ha rottamato gli ex amici

L' Unità di oggi non avrà probabilmente l'allegra sfrontatezza del Giornale dell'altro giorno, e dunque non titolerà «Bersani lascia il Pd». Ma il significato politico più importante dell'Assemblea nazionale del Pd è precisamente questo: accogliendo la sostanza delle richieste di Renzi (che infatti commenta: «Abbiamo avuto ragione a fidarci di lui»), Pier Luigi Bersani compie un nuovo, decisivo strappo nei confronti di quell'oligarchia che esattamente tre anni fa l'aveva incoronato segretario e della cui tutela oggi vuole sbarazzarsi. Nella stizza di Rosy Bindi, promotrice occulta di un emendamento anti-Renzi che avrebbe nei fatti consegnato le primarie agli apparati di partito, c'è il segno di una rottura profonda, voluta da Bersani con cocciuta determinazione, e appena mitigata dal generale entusiasmo di facciata con cui si è conclusa l'Assemblea.

È vero che non c'è stata nessuna spaccatura, e che tutti possono tornare a casa soddisfatti, ma è altrettanto vero che la scelta di Bersani disvela le intenzioni vere del segretario: che ha voluto e vuole le primarie non per fare un favore al sindaco di Firenze, ma per sbarazzarsi delle Bindi, dei D'Alema e dei Veltroni che vorrebbero continuare a condizionarlo. Del resto, lo aveva detto a chiare lettere, col candore della debuttante, la giovane portavoce del Comitato Bersani, Alessandra Moretti: «Hanno fatto tre mandati, non sono ricandidabili».

Bersani rottamatore può far sorridere, ma qualche rottamando comincia invece a preoccuparsi sul serio. Gli uomini del segretario hanno buon gioco nel dichiarare con qualche punto esclamativo di troppo che il documento approvato ieri segna «una vittoria del partito», che il Pd ha dimostrato di essere «forte e sicuro di sé», e che nel desolato panorama della politica italiana un «collettivo» capace di discutere e di decidere rappresenta – parole di Bersani – «un capolavoro della democrazia». C'è senz'altro del vero, ma l'enfasi con qui questi giudizi vengono pronunciati ne denuncia il carattere autoconsolatorio: la «grande vittoria» di Bersani consiste in fondo nel far correre Renzi, e siccome impedirglielo non era ragionevolmente possibile, se non a prezzo di una scissione, più che di vittoria storica sarebbe meglio parlare di ritirata tattica. Da qui la linea scelta dalla segreteria: visto che non potevamo fare altrimenti – questo il succo – tanto vale attribuirci qualche merito.

Ma la verità è che nel fortino assediato del Nazareno da domani Bersani dovrà guardarsi prima di tutto dai capicorrente che a parole dicono di appoggiarlo. Alcuni di loro continueranno a farlo, quantomeno per mancanza di alternative; altri hanno già scelto l'Aventino (Veltroni ha dichiarato che non dichiarerà per chi vota); molti, in periferia, soprattutto negli eserciti veltroniani e lettiani, stanno considerando l'ipotesi di passare armi e bagagli con Renzi, se già non l'hanno fatto. La corsa di Bersani si fa dunque più solitaria e più difficile, e decisamente più rischiosa. Il vero vincitore dell'Assemblea di ieri, di conseguenza, è proprio il sindaco-rottamatore. Con una tattica degna di un generale taoista, Renzi è rimasto perfettamente immobile, ha riversato su Bersani ogni responsabilità («Del segretario mi fido»), ne ha sfruttato abilmente non le debolezze ma i punti di forza, a cominciare dall'orgoglio della leadership, e all'Ergife non si è neppure presentato. Fermo sulla collina, Renzi ha aspettato il responso della battaglia convinto che la miglior vittoria sia quella che si coglie senza combattere. E Bersani gliel'ha offerta, per necessità, su un piatto d'argento. La corsa per la leadership del centrosinistra può dunque cominciare. L'ultima trincea degli oligarchi è il doppio turno «chiuso», vale a dire la regola – votata ieri dall'Assemblea – secondo cui può votare al secondo turno soltanto chi abbia già votato al primo.

Si tratta di una palese assurdità, il cui unico scopo è convogliare su Bersani i voti dei candidati-civetta che vanno proliferando in queste ore (alla Puppato e a Sandro Gozi s'è aggiunto Valdo Spini) e, naturalmente, quelli di Vendola. Ma chi l'ha detto che ci sarà un secondo turno?

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