Crolla dopo due anni di fango l'accusa al super poliziotto

Il pm che ha creduto al pentito ora dice che è inattendibile. Nel frattempo Vittorio Pisani, che aveva catturato il boss dei casalesi, è stato emarginato

Il capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani
Il capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani

E ora chi si prenderà l'onere di restituire l'onore all'ex superpoliziotto «mascariato» da un pentito che gli ha dato del corrotto? Chi potrà riparare all'infamia subita da un servitore dello Stato trascinato sott'inchiesta sulla scorta di dichiarazioni che puzzavano, fin da subito, di calunnia e diffamazione? Nessuno. Per questo, Vittorio Pisani, l'ex capo della Mobile napoletana, entra di diritto nella galleria di quelli che, diceva il capostipite di questa sfortunata razza, Bruno Contrada, rischiano il fango per combattere la mafia. Con la doppia archiviazione disposta dal gip partenopeo, cadono due delle più aberranti contestazioni rivolte all'uomo che dava la caccia ai latitanti: aver assicurato in cambio di quattrini impunità, latitanza e libertà all'allora confidente, il boss della camorra Salvatore Lo Russo, oggi suo implacabile accusatore. Che ai pm di Napoli ha raccontato di aver «ammansito» Pisani, ai tempi della Mobile, allungandogli qualche bigliettone, manco fosse l'ultimo degli agenti di periferia che arrotondano lo stipendio con le tangenti degli spacciatori. Il padrino li giustificava come proventi di fortunate puntate al gioco, quegli euro, con Pisani. Che ringraziava e intascava. Uno, due, tre volte. «Avevo vinto al casinò 280.000 euro e dunque, quando incontrai il dottor Pisani gli diedi una busta da 50.000 euro. Anche in questa occasione lui non mancò di mostrare imbarazzo e di dire che non poteva accettare, ma anche questa volta gli dissi di stare tranquillo e di prendere quella busta perché erano soldi di gioco e, quindi, un mio regalo per la vincita conseguita (…) In pratica dal Natale 2005 al febbraio-marzo 2007 ho consegnato al dott. Pisani 160.000 euro».
Tutto terribilmente falso. Il giudice delle indagini preliminari ha chiuso il capitolo della corruzione e del favoreggiamento perché non c'è la minima prova che Lo Russo abbia detto la verità. Non c'è una traccia, un indizio, una pista (e ne sono state scandagliate diverse) che abbia portato a intercettare anche soltanto una banconota sospetta nei conti di Pisani. Non un solo comportamento anomalo, dal punto di vista investigativo. Lo Russo ha riferito che aveva a libro paga uno dei migliori investigatori d'Italia, ma è come se avesse detto di aver preso il caffè con gli extraterrestri sul tetto di Castel dell'Ovo. Il livello di attendibilità è lo stesso. Intanto, però, i verbali degli interrogatori del «capitone», il suo nickname all'anagrafe di camorra per quanto è viscido e sgusciante, sono diventati proiettili che hanno bucato la divisa dell'ex capo della Mobile. Pisani aveva sostenuto di non aver mai accettato soldi da Lo Russo, suo confidente. Perché sapeva bene che con gente di quella risma, che vende alla giustizia parenti, compari e comparielli, è meglio mantenere le distanze. Gli auguri a Natale e a Pasqua, lo scambio di qualche regalino simbolico e stop. Altro che bustarelle. Un'accusa (ingiusta) da schiantare il più solido e resistente dei caratteri. Invece, con 'o capitone che guizzava tra le carte bollate della Procura e la macchina del fango a pieno regime, il 7 dicembre 2011 Pisani aveva catturato la primula camorrista casalese Michele Zagaria, calandosi in un bunker sottoterra a Casapesenna. A quell'epoca, il superpoliziotto era ancora sottoposto al divieto di dimora a Napoli. In Procura, si disse, nemmeno era piaciuto questo protagonismo di Pisani, perché un indagato non può coordinare un'azione investigativa di tale livello. Ma nessuno se ne preoccupò troppo, perché nel frattempo erano arrivati i media per la conferenza stampa, convocata proprio negli stessi minuti in cui Pisani se ne tornava nel suo esilio romano.
Paga per aver servito lo Stato, l'ex superpoliziotto. E paga anche la scarsa dimestichezza coi bizantinismi della diplomazia. Disse, un giorno, che la scorta a Roberto Saviano era inutile, perché non correva alcun pericolo. E che lui, che qualche problemino gliel'aveva procurato alla camorra, girava per Napoli a piedi, senza problemi. Lo scorticarono vivo, augurandogli finanche la galera. Fu l'inizio della fine.

Quando venne trasferito a Roma, per la prima volta i fan di Saviano e i camorristi si ritrovarono, su sponde opposte, a brindare insieme. Vili, quaquaraqua, incalliti professionisti antimafia: onore a Pisani, e a quanti come lui.

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