Il governo stana i furbetti dei finti flussi di immigrati. È bastata la stretta sugli abusi decisa dal governo per far crollare del 73% a 180mila le domande presentate per il Decreto flussi per il 2025. «È un numero perfettamente corrispondente al fabbisogno di lavoratori stranieri che il governo aveva stimato», fa sapere il Viminale, sottolineando che «le istanze diminuiscono grazie alle nuove misure messe in campo per contrastare truffe e abusi». «È un importante risultato - spiega il ministro Matteo Piantedosi - frutto del nostro impegno per contrastare l’immigrazione irregolare e sostenere il sistema produttivo italiano con canali legali di ingresso per tutti quei lavoratori realmente interessati a integrarsi nel nostro Paese».
Qualche mese fa il premier Giorgia Meloni si era spesa in prima persona per denunciare il fenomeno anche alla Procura nazionale antimafia (link) guidata da Giovanni Melillo, sostenendo che dietro all’incredibile sproporzione tra le domande di nulla osta al lavoro per extracomunitari durante il click day rispetto «al numero dei potenziali datori di lavoro» si nascondeva un traffico di visti e una vera e propria frode «che aggira le dinamiche di ingresso regolare e genera un mercato da 15mila euro a pratica, tutto in mano alla criminalità». Un vaso di Pandora denunciato dal Giornale a giugno scorso (link), già la scorsa estate e prima ancora ai tempi del governo giallorosso, quando al ministero degli Esteri c’era Luigi Di Maio. Quando per primi abbiamo scritto che c’era la manina delle mafie nella compravendita di finti permessi per venire in Italia, soprattutto dal Bangladesh ma anche da Pakistan e Sri Lanka.
«I flussi di immigrati regolari vengono utilizzati come canale ulteriore» di arrivi indiscriminati «grazie alla criminalità organizzata che si è infiltrata nella gestione delle domande, verosimilmente dietro un pagamento», era la tesi del premier. In Campania, ad esempio, meno del 3% di chi fa domanda per venire a lavorare ha poi sottoscrivendo un vero contratto, tanto che la Procura di Napoli da tempo monitora le possibili infiltrazioni dei clan di camorra. Il dato campano è spaventoso, ma non dissimile rispetto ad altre regioni.
La prima inchiesta era partita dal ritrovamento casuale di un visto anomalo di cui per primo si è occupato Giuseppe De Lorenzo il 9 giugno 2021, quando gli uffici diplomatici a Islamabad denunciarono la scomparsa di mille visti Schengen dalla cassaforte italiana. Scoprendo che, come ricostruito dal Giornale e da Libero l’estate scorsa, la prima segnalazione di un visto visibilmente contraffatto risaliva al 6 aprile 2021 alle Maldive. Si trattava di uno sticker sospetto, siglato ITA 041913980, rilasciato sul passaporto di un cittadino pakistano a Karachi ma con il timbro di Islamabad.
L’anno scorso la Farnesina guidata da Antonio Tajani si è mossa dopo la denuncia di un diplomatico (raccolta anche dal Giornale) e soprattutto grazie al lavoro del deputato Fdi Andrea Di Giuseppe, che sotto copertura ha scoperto con la Guardia di Finanza l’origine del racket di visti in ingresso nel nostro Paese, venduti a migliaia di persone arrivate in Italia da Bangladesh, Filippine e appunto Pakistan, ricevendo in cambio minacce in stile mafioso, su cui indaga la Procura di Roma.
Tajani ha successivamente deciso un repulisti nelle ambasciate e nei consolati epicentro di queste alchimie, avvalendosi di una delegazione ispettiva della quale facevano parte anche funzionari della Farnesina e delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri e Guardia di finanza). L’esposto della Meloni e il crollo delle domande confermano che i timori di Palazzo Chigi erano fondati.
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