Parla di Alessandro Sallusti come di un criminale incallito, ammette che la condanna è "eccezionale" e scarica la colpa sulla politica che non ha riformato la legge. Nei confronti del direttore del Giornale la Cassazione motiva la condanna a 14 mesi di carcere per la sua "spiccata capacità a delinquere" dimostrata da tanti precedenti e dalla "gravità" della "campagna intimidatoria" e "diffamatoria" condotta nei confronti del giudice Giuseppe Cocilovo quando nel 2007 dirigeva Libero. In realtà, quello che si "nasconde" dietro alle motivazioni dei giudici è una sentenza che mette le manette alla libertà di espressione. "Sono degli infami - ha commentato Sallusti - non si può giocare con la vita delle persone, il presidente della Cassazione dovrà risponderne anche a mio figlio". Nel frattempo si muove (a rilento) anche la politica. Questa mattina, a Palazzo Madama la commissione Giustizia ha, infatti, approvato il disegno di legge sulla diffamazione che abolisce la pena del carcere per i giornalisti.
Quattordici mesi di carcere. E una condanna durissima. Anche nelle motivazioni Nella sentenza 41249, la Suprema Corte ha spiegato per quale motivo, lo scorso 26 settembre, ha confermato la condanna a 14 mesi per diffamazione e omesso controllo a Sallusti per due articoli firmati da Dreyfus (ovvero Renato Farina), e pubblicati il 17 febbraio 2007. "Gli atti processuali - scrive la Cassazione - danno un quadro di forti tinte negative sulle modalità della plurima condotta trasgressiva di Sallusti ai danni non solo di Cocilovo ma anche dei genitori adottivi e di una minorenne sbattuti in prima pagina". Non solo. Replicando alla tesi della difesa, la Cassazione ha spiegato che "in una società, che vivono e si sviluppano grazie al confronto delle idee, non può avere alcun riconoscimento l’invocato diritto di mentire, al fine di esercitare la libertà di opinione". Più che una sentenza, quella della Suprema Corte sembra un'arringa moralizzatrice nei confronti del direttore che, su Libero, non aveva ospitato "un leale confronto di idee e di una lecita critica" alla legge sull’interruzione di gravidanza. Poi, però, la Suprema Corte scarica tutta la colpa sulla politica accusando il legislatore di non essere stato in grado di "raggiungere una condivisa scelta e una razionale e coerente riforma".
Dopo aver letto le motivazioni della sentenza, Sallusti ha criticato duramente anche Aldo Grassi, presidente della quinta sezione della Corte di Cassazione. "Il mio non è uno sfogo, ma un giudizio sereno che sarà oggetto di un mio editoriale che sarà pubblicato domani. Mi auguro che questo giudice venga cacciato dalla magistratura", ha commentato il direttore del Giornale spiegando che "non si può giocare con la vita delle persone". "Non si dà del delinquente ad un giornalista che non ha mai avuto condanna penale - ha continuato Sallusti - non c’è nessuna reiterazione del reato, c’è solo un articolo, neanche scritto da me, che a ben guardare non è neanche diffamatorio perchè non si cita nessuno e si parla per assurdo".
Finalmente, però, la politica sembra muoversi per fare in modo che un giornalista non venga mai più incarcerato per le proprie idee. Nato proprio dopo la condanna a Sallusti, il disegno di legge abolisce la pena del carcere per i giornalisti, prevedendo invece pene pecuniarie. "Sono contento che il disegno di legge vada avanti. Non può che essere un passo positivo, perchè bisogna superare il Codice Rocco - ha commentato Sallusti - non sono però così ottimista che si arrivi al via libera nei tempi utili per la mia causa, ma questa è la cosa meno importante". Le multe restano da 5mila a 100mila euro, ma è stato approvato un emendamento secondo cui sono commisurate alla gravità dell’offesa e alla diffusione della testata. Al termine della riunione il relatore Filippo Berselli (Pdl) ha riferito di aver proposto una rimodulazione dell’entità delle pene portando il massimo della multa da 100mila a 50mila euro, ma la maggioranza della Commissione ha bocciato la modifica lasciando il tetto massimo a 100mila euro. Prevista in caso di recidiva la sospensione dalla professione e dall’attività fino a sei mesi e poi come ulteriore aggravante, fino a tre anni. È stata approvata inoltre un’ulteriore ipotesi di aggravante in caso di coinvolgimento dell’editore nella diffamazione dolosa. La disciplina non è estesa ai blog, ma soltanto alle testate giornalistiche diffuse anche per via telematica. Non è infatti passato l’emendamento presentato dai senatori democratici Vincenzo Vita e Gerardo D’Ambrosio che chiedeva la non applicazione della normativa ad internet. Cancellata inoltre la riparazione come pena accessoria. Ritirato infine l’emendamento del senatore del pdl giacomo Caliendo che prevedeva la nullità delle clausole contrattuali che lasciavano solo in capo all’editore gli oneri derivanti da una condanna per diffamazione.
Anche dagli esponenti del centrosinistra arrivano dure critiche alla sentenza che manda in carcere Sallusti. "La Cassazione - scrive Marco Follini (Pd) su Twitter - sta facendo di tutto per rendere simpatico Sallusti. Che è un avversario, ma non un delinquente". E Antonio Di Pietro rincara la dose: "Personalmente ho diversi procedimenti contro Sallusti e il Giornale. Ma sono tra i primi a dire che non bisogna mandare in carcere i giornalisti". Prevedendo il carcere per i cronisti "è troppo alto il rischio che alla stampa venga impedito di esprimere le proprie idee".
"La sentenza della Cassazione su Sallusti è gravissima - dice il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto - perché è un
su insulti e non una motivazione giuridica. L’espressione 'spiccata capacità a delinquere' attribuito al direttore del Giornale è un incredibile attacco politico".
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