Draghi: "Serve debito comune per la difesa Ue, Trump ci ha lasciati da soli"

L’ex premier in audizione in Parlamento: “I dazi Usa travolgeranno l'economia Ue”. Monito all’Italia a “fare da sola” sull'energia perché i costi sono troppo alti

Draghi: "Serve debito comune per la difesa Ue, Trump ci ha lasciati da soli"

Mario Draghi ha lanciato un monito chiaro e diretto parlando del suo sul Rapporto sul futuro della competitività davanti alle commissioni Unione europea, Bilancio e Industria e agricoltura del Senato e Bilancio, Attività produttive e Politiche dell’Unione europea della Camera: l’Europa deve dotarsi di un debito comune per la difesa, perché non può più contare sugli Stati Uniti. Le parole dell’ex presidente della Bce suonano come un avvertimento, soprattutto alla luce delle dichiarazioni di Donald Trump, che ha lasciato intendere che in caso di ritorno alla Casa Bianca non garantirà più la protezione automatica ai Paesi della Nato. “Il ricorso al debito comune è l'unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, l'Europa dovrà agire come se fosse un solo Stato", ha detto. "Gli angusti spazi di bilancio non permetteranno ad alcuni Paesi significative espansioni del deficit, né sono pensabili contrazioni nella spesa sociale e sanitaria: sarebbe non solo un errore politico, ma soprattutto la negazione di quella solidarietà che e' parte dell’identità europea, quell’identità che vogliamo proteggere difendendoci dalla minaccia dell'autocrazia", ha aggiunto

L’Europa senza più un ombrello protettivo

Draghi ha sottolineato che l’Unione europea non può permettersi di restare indietro in un mondo in cui gli equilibri geopolitici stanno rapidamente cambiando. "Il disimpegno degli Stati Uniti era annunciato da tempo. Gli indirizzi della nuova amministrazione hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile. Speriamo ci spingano con eguale energia ad affrontare le questioni politiche che hanno rallentato finora la nostra azione", ha detto Draghi, sottolineando come l'Unione Europea avrebbe dovuto affrontare prima la stagnazione economica e il tema della difesa.

"Le decisioni a cui il Rapporto chiama l'Europa sono ancora più urgenti oggi, quando la necessità di difendersi e di farlo presto è al centro dell'attenzione e delle preoccupazioni della maggioranza dei cittadini europei. Un'Europa che cresce finanzierà più facilmente un fabbisogno finanziario che ormai supera le previsioni del rapporto. Un'Europa che riforma il suo mercato dei servizi e dei capitali vedrà il settore privato partecipare a questo finanziamento, ma l'intervento dello Stato resterà necessario", ha proseguito l'ex presidente del Consiglio.

"La difesa oggi non è più solo armamento ma anche tecnologia digitale. È il concetto stesso di difesa che evolve nel più ampio concetto di sicurezza globale. La convergenza tra tecnologie militari e tecnologie digitali porta alla sinergia dei diversi sistemi di difesa dell'aria, del mare, di terra e dello spazio. Occorre quindi dotarsi di una strategia continentale unificata per il cloud, il supercalcolo e l'intelligenza artificiale, la cyber sicurezza".

"Se vogliamo garantire la sicurezza dei nostri cittadini, dobbiamo assumerci direttamente questa responsabilità", ha detto. Questo significa una maggiore integrazione nella spesa per la difesa, che finora è stata gestita in maniera frammentata e inefficace.

Il rischio dei dazi Usa e il contraccolpo sull’economia Ue

Un altro tema critico sollevato da Draghi è l’impatto delle politiche protezionistiche statunitensi sull’economia europea. "La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee", ha proseguito.

L’aumento dei dazi voluto da Washington, con particolare riferimento al settore dell’auto e della tecnologia, rischia di travolgere intere filiere produttive europee. "Senza una risposta coordinata e una strategia industriale comune, il Vecchio Continente rischia di subire un colpo durissimo", ha avvertito.

Troppe regole e poca sostanza

"La regolamentazione prodotta dall'Unione Europea negli ultimi 25 anni ha certamente protetto i suoi cittadini, ma si è espansa inseguendo la crescita di nuovi settori come il digitale e continuando ad aumentare le regole negli altri. Ci sono 100 leggi focalizzate sul settore high-tech e 200 regolatori diversi negli Stati membri”, ha sottolineato Draghi aggiungendo che “non si tratta di proporre una deregolamentazione selvaggia, ma solo un po' meno confusione”. Le troppe regole e troppo frammentate, ha evidenziato, “penalizzano soprattutto nel settore dei servizi l'iniziativa individuale, scoraggiano lo sviluppo dell'innovazione e penalizzano la crescita dell'economia”.

Energia: l’Italia deve fare da sola

Draghi ha poi parlato dei costi dell’energia, che restano troppo alti e rappresentano un freno alla competitività dell’industria europea. “Occorre certamente accelerare lo sviluppo di generazione pulita e investire estesamente nella flessibilità e nelle reti”, ha rilevato ma “occorre anche disaccoppiare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili e dal nucleare da quello dell’energia di fonte fossile". L’Italia, ha proseguito, non può più aspettare decisioni comunitarie che tardano ad arrivare. Serve una strategia autonoma per ridurre i costi energetici, investendo sulle rinnovabili e sulle infrastrutture di approvvigionamento. Sui costi dell'energia "non possiamo però unicamente aspettare le riforme a livello europeo”. In Italia, ha ricordato, “sono disponibili decine di gigawatt di impianti rinnovabili in attesa di autorizzazione o di contrattualizzazione”, perciò “è indispensabile semplificare e accelerare gli iter autorizzativi, e avviare rapidamente gli strumenti di sviluppo”. Questo abiliterebbe nuova produzione a costi più bassi di quella a gas, che rappresenta ancora in Italia circa il 50% del mix elettrico (a fronte di meno del 15% in Spagna e di meno del 10% in Francia). "Inoltre - ha rimarcato Draghi - senza aspettare una riforma europea, possiamo slegare la remunerazione rinnovabile da quella a gas sia sui nuovi impianti che su quelli esistenti adottando più diffusamente i Contratti per Differenza (CfD) e incoraggiando e promuovendo i Power Purchasing Agreement (PPA)". "Non possiamo permetterci di dipendere da un mercato che ancora oggi non offre stabilità nei prezzi", ha detto.

Il mercato unico dei capitali e la fuga dei risparmi verso gli Usa

Un altro nodo decisivo è il mercato unico dei capitali. Draghi ha ribadito che l’Europa deve accelerare l’integrazione finanziaria, perché troppo risparmio europeo sta finendo negli Stati Uniti, invece di essere investito nell’economia del continente. "Il dato che meglio riassume la persistente debolezza dell’economia del nostro Continente è la quantità di risparmio che ogni anno fuoriesce dall’Unione Europea: 500 miliardi di euro nel solo 2024. Risparmi a cui l’economia europea non riesce a offrire un tasso di rendimento adeguato. Il rapporto analizza estesamente le cause strutturali di questa inadeguatezza, ma oggi voglio soffermarmi su tre aspetti che sono diventati ancora più urgenti nei sei mesi trascorsi dalla pubblicazione del rapporto: si tratta del costo dell’energia, della regolamentazione e della politica dell’innovazione", ha sottolineato l’ex premier. La frammentazione delle normative nazionali e la mancanza di un vero mercato finanziario comune rendono l’Europa meno attrattiva rispetto agli Usa. "Se non agiamo in fretta, continueremo a perdere risorse fondamentali per la crescita e lo sviluppo", ha avvertito l’ex premier.

Un capitano lasciato solo sul Titanic europeo

Come al solito, Mario Draghi ha parlato da padre nobile, da uomo che nel 2012 ha salvato l’euro dalla catastrofe con il famoso "whatever it takes". Ma oggi la sua analisi va oltre: sta prendendo atto che l’Europa è troppo frammentata, soprattutto perché alcuni Stati, Germania in primis, continuano a pensare prima ai loro interessi nazionali e poi alle politiche comunitarie necessarie.

Ecco perché ha chiarito che l’Italia deve muoversi da sola, almeno sul fronte energetico. Il suo tentativo di salvare ancora una volta l’Europa si scontra con una realtà difficile: in questo Titanic che rischia di affondare, non tutti sembrano preoccuparsi del destino collettivo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica