Lo scivolone, questa volta, è pesante. Soprattutto per un ex magistrato paladino di legalità e rispetto delle regole quale lui è sempre stato. Gli ordini degli avvocati di Roma e Palermo hanno aperto due fascicoli - uno per ogni città - relativi al neo collega Antonio Ingroia, che giovedì scorso ha debuttato come legale di parte civile al processo che lui stesso ha istruito da pm, quello sulla trattativa Stato-mafia. L'ipotesi, che va trasmessa alle rispettive procure (Roma perché Ingroia è iscritto nella Capitale e Palermo perché è il luogo in cui si è verificata la presunta violazione) per gli eventuali rilievi di carattere penale, non è lieve: esercizio abusivo della professione forense. E il motivo è presto detto: il leader di Azione civile ha chiesto l'iscrizione all'albo degli avvocati di Roma lo scorso 25 settembre; l'ordine lo ha iscritto il giorno dopo, il 26, proprio mentre lui, nell'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo, debuttava a sorpresa nel ruolo di avvocato; ma per il via libera all'esercizio della professione manca un passaggio, il giuramento davanti al Consiglio, che Ingroia ancora non ha ancora fatto (giurerà la settimana prossima).
L'ex pm, sentito dal Giornale di Sicilia che ha pubblicato ieri la notizia, si dice tranquillo: «In quell'udienza ho solo presenziato e non ho preso la parola», afferma. Vero. Peccato però che l'avvocato Danilo Ammannato, il legale titolare della difesa di parte civile dell'Associazione vittime di via dei Georgofili, abbia preso la parola, in udienza, per nominare l'avvocato Ingroia come proprio sostituto processuale al posto dell'avvocato Fabio Repici. Come poteva Ingroia essere nominato come sostituto se tecnicamente non era ancora avvocato non avendo giurato?
E non è tutto. C'è pure un'altra questione che rischia di essere sollevata, e che potrebbe costringere Ingroia a dire addio al «suo» processo. La legge 247 del 2012, alias la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, all'articolo 2 comma 3, recita: «Possono essere altresì iscritti: «a) coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato ordinario, di magistrato militare, di magistrato amministrativo o contabile, o di avvocato dello Stato, e che abbiano cessato le dette funzioni senza essere incorsi nel provvedimento disciplinare della censura o in provvedimenti disciplinari più gravi». E fin qui nulla quaestio. Ma leggete come continua la legge: «L'iscritto, nei successivi due anni, non può esercitare la professione nei circondari nei quali ha svolto le proprie funzioni negli ultimi quattro anni precedenti alla cessazione». Che fuor di burocratese significa che l'avvocato Ingroia, anche dopo aver giurato, non può esercitare per due anni a Palermo, procura in cui ha lavorato per 20 anni e che ha lasciato meno di un anno fa. E tanto meno può farlo nel processo sulla trattativa Stato-mafia, che lui stesso ha istruito, e che ha abbandonato dopo aver firmato l'avviso di conclusione indagini e dopo aver partecipato, il 29 ottobre del 2012, all'avvio dell'udienza preliminare.
Che fosse inopportuno, per non dire anomalo, che Ingroia tornasse da avvocato al «suo» processo, era apparso chiaro già in udienza, mentre lui, raggiante, confessava ai cronisti di essere «emozionato come un alunno il primo giorno di scuola», orgoglioso di esser tornato a casa.
Quello dell'incompatibilità, comunque, sta diventando un incubo per Ingroia: prima lo ha portato ad Aosta, unico luogo in cui non si era candidato a premier; e adesso si ripropone a Palermo. Per il «suo» processo che, appena riconquistato, rischia di sfuggirgli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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