Ecco i 334 boss graziati dalla sinistra e presi dal centrodestra

Ecco l’elenco dei mafiosi cui nel ’93 il ministro della Giustizia Conso non rinnovò il carcere duro. Ci sono anche Vito Ciancimino e Luigi Ilardo, uomini chiave della presunta trattativa

Ecco i 334 boss  graziati dalla sinistra e presi dal centrodestra

Altro che i tentativi dei pm di ti­rare il centrodestra a tutti i costi dentro la presunta trattativa tra Sta­to e Cosa nostra dopo le stragi del ’92 e del ’93. Altro che dichiarazio­ni più o meno fumose di pentiti o aspiranti tali stile Massimo Cianci­mino. Il perno dell’inchiesta di Pa­lermo sui contatti tra pezzi delle Istituzioni e mafiosi, l’alleggeri­mento del 41 bis, il regime di carce­re duro cui furono­sottoposti un mi­gliaio di boss all’indomani degli ec­cidi palermitani del 1992, avvenne nel 1 993, quando ministro di Giu­stizia era Giovanni Conso.

E la lista dei 334 cui l’allora Guardasigilli-in via Arenula per due mandati dal febbraio del 1993 al maggio del 1994- fece la grazia di passare a un regime carcerario più morbido, parla chiaro. Non tanto per alcuni nomi di boss di rango che figurano qua e là, in un mare magnum che però - da Adelfio Francesco da Pa­lermo a Zito Vincenzo da Fiumara, da Aquilino Paolo da Montebello Jonico (Reggio Calabria), passan­do pure per l’algerino Hamoul Mohamed e dallo slavo Haziri Fazli-è fatto anche di ’ndrangheti­sti, boss della camorra, colombia­ni e criminali vari.

Ma soprattutto per i nomi di due personaggi, or­mai defunti, e che pure fanno parte integrante della presunta trattati­va: Vito Ciancimino, l’ex sindaco boss di Palermo che secondo i pm sarebbe stato il tramite della prima fase della trattativa, quella avviata­sostengono - a cavallo delle stragi; e Luigi Ilardo, nei primi anni ’90 rappresentante della famiglia ma­fiosa di Caltanissetta, cugino e braccio destro del boss nisseno Pid­du Madonia e che però, scarcerato nel 1994, iniziò a collaborare col Ros,fece l’infiltrato nel tentativo di portare alla cattura di Bernardo Provenzano e che poi, scoperto, fu ucciso dalla mafia, nel 1996. Insomma, la sinistra trattava i boss coi guanti bianchi, mentre i governi di centrodestra li riacciuf­favano, sequestrando loro i beni e spedendoli al carcere duro senza se e senza ma. Ciancimino e Ilardo non sono le sole sorprese contenu­te nei­prospetti riepilogativi sull’an­damento del 41 bis in quegli anni trasmessi alla procura di Palermo nel gennaio del 2011 dall’allora di­rettore del Dap Franco Ionta e agli atti dell’inchiesta palermitana. Spulciando i nomi dei «graziati» dal ministro se ne scoprono delle belle.

Sì, ci sono esponenti di spic­co del gotha mafioso dell’epoca co­me il capomandamento di San Mauro Castelverde Giuseppe Fari­nella o Giuseppe Gaeta, capo della famiglia mafiosa di Termini Imere­se, o ancora il vecchissimo - classe 1917- Nenè Geraci, il capomafia di Partinico (Palermo). Ma ci sono pu­re personaggi che i galloni di boss li conquisteranno molto dopo, co­me Vito Vitale, futuro capo di Parti­nico. Non solo. Un’altra anomalia che salta all’occhio è la presenza di cognomi della vecchia mafia, quel­la che aveva perso la guerra con i corleonesi guidati da Riina e Pro­venzano. Come Inzerillo o i due Al­berti, Gerlando senior e Gerlando junior, coinvolto il primo nei princi­pali fatti di mafia degli anni ’60 e il secondo nell’uccisione a soli 17 an­ni, nel 1985, di Graziella Campa­gna. Colpisce, poi, la presenza di personaggi di rilievo marginale o che persino nulla hanno a che fare con Cosa nostra, come narcotraffi­canti colombiani, o esponenti di ’n­drangheta e camorra. Persino Re­nato Vallanzasca, di cui tutto si può dire meno che sia un capomafia,al­l’epoca beneficò del mancato rin­novo del carcere duro.

Perché questo strano mix? Non possono non tornare alla mente ­le intercettazioni sono venute fuo­ri in questi giorni- le preoccupazio­ni dell’ex ministro dell’Interno, Ni­cola Mancino, e del consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio,che al telefono parlano del suicidio in car­cere, nell’agosto del ’93,di Antoni­no Gioè. E non può non tornare al­la­mente un altro fatto di quel terri­bile 1993: la lettera che a febbraio i parenti dei detenuti sottoposti al 41 bis nelle carceri speciali di Pia­nosa e dell’Asinara inviarono al presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Una lettera aspra, dai toni minacciosi, in cui i familiari intimavano al Colle di prendere le distanze dagli «squa­dristi agli ordini del dittatore Ama­to ».

Quel Niccolò Amato,all’epoca alla guida del Dap, che pochi mesi dopo sarebbe stato silurato e sosti­tui­to col più morbido Adalberto Ca­priotti, indicato - Scalfaro sentito

dai pm di Palermo ha detto di non ricordare, ma lo smentisce il suo ex segretario Gaetano Gifuni- dal Qui­rinale. Poi Conso fece il resto, con il mancato rinnovo del carcere duro per 334 reclusi. E le bombe si ferma­rono.

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