Cinquanta milioni di euro, circa 100 miliardi delle vecchie lire. È il maggior compenso ricevuto nel 2012 dai cento principali dirigenti delle società italiane quotate in Borsa rispetto all'anno precedente. I «salari» elargiti nello scorso esercizio, ha rivelato un'analisi elaborata dal Sole24Ore, sono ammontati a 402 milioni di euro, a fronte dei 352 milioni del 2011.
Potrebbe sembrare che i manager se ne siano infischiati della crisi e si siano «premiati» più del dovuto. Ma il condizionale è d'obbligo. La recessione globale ha generato risultati economici deludenti che hanno costretto molte aziende a cambiare guida. E su ogni manager «liquidato» fiocca quasi sempre una buonuscita monstre. In secondo luogo, è ormai prassi consolidata «stipendiare» i dirigenti con azioni della società. E nel 2012 la voce «azioni» ha fatto lievitare molte paghe.
È il caso del leader di questa speciale classifica: l'amministratore delegato di Fiat e presidente di Fiat Industrial, Sergio Marchionne, che l'anno scorso ha guadagnato 47,9 milioni lordi. Per le due cariche ha ricevuto circa 7,2 milioni (4,3 da Fiat e 2,9 da Industrial), i restanti 40,7 milioni provengono da 8 milioni di azioni gratuite (4 del Lingotto e 4 della «sorella») che gli erano state assegnate gratis nel 2009. Giusto per restare a Torino, è da notare come il presidente di Ferrari e vicepresidente di Unicredit (nonché consigliere Fiat e Tod's), Luca Cordero di Montezemolo, guadagni più di John Elkann (5,6 milioni contro 3,4) che però ha le chiavi di tutto l'impero in quanto alla guida della cassaforte di famiglia.
Analogamente, non è un caso che dal secondo al quinto posto si trovino manager che nel 2012 hanno esercitato le proprie stock option (pacchetti di azioni acquistabili a un prezzo fisso che determina grandi plusvalenze se inferiore alle quotazioni di Borsa). Luigi Francavilla (28,8 milioni), Roberto Chemello (15,4 milioni) e Andrea Guerra (14,2 milioni) di Luxottica hanno incassato il grosso dei compensi grazie ai titoli distribuite dal gruppo di Leonardo Del Vecchio. Idem per Federico Marchetti (22,6 milioni), il fondatore di Yoox, piattaforma web della moda.
Discorso diverso per le «superbuonuscite». Al settimo posto c'è l'ex ad di Generali Giovanni Perissinotto (11,6 milioni di cui 10,6 di «esodo»), all'ottavo Diego Bolzonello di Geox (10,8 - 9,6). Al dodicesimo posto Pietro Franco Tali di Saipem, costretto al passo indietro dal «caso Algeria» (6,9 - 3,8). Più in giù si trovano Piergiorgio Peluso di Fonsai (4,9 - 3,8) e Antonello Perricone di Rcs (3,9 - 3,3). Eccezion fatta per la controllata Eni, si tratta di società che non hanno brillato e, in alcuni casi, come Fonsai e Corriere, hanno avuto bisogno di un aumento di capitale per evitare di portare i libri in tribunale.
Per trovare uno stipendio senza voci «extra» si deve arrivare al nono posto con i 9,3 milioni dell'ad di Ferragamo Michele Norsa che precede i capi di Eni Paolo Scaroni (6,7 milioni) e di Enel Fulvio Conti (3,9 milioni).
Infine, due piccole annotazioni. Il primo esponente del capitalismo famigliare tradizionale è Giampiero Pesenti, al quindicesimo posto con 5,2 milioni. Più indietro Marco Tronchetti Provera (3,7 milioni) e Alberto Bombassei di Brembo (2,7 milioni).
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