Racconta Paolo Guzzanti nella sua monumentale autobiografia Senza più sognare il padre, che non appena uscì la sua celeberrima intervista per Repubblica a Franco Evangelisti, fra i primi a mobilitarsi e a promuovere un convegno dal titolo emblematico - A' Fra' che te serve? - fu Paolo Flores d'Arcais. Quel che non tutti sanno è che in quella stagione il filosofo era parcheggiato presso il Psi di Bettino Craxi. E quel congresso l'aveva ideato come «responsabile del circolo culturale Mondoperaio». Insomma, Flores il duro e puro, che per la sua intransigenza non avrebbe sfigurato a fianco di Robespierre e dei giacobini, in una vita precedente frequentava i Martelli, i Formica e via elencando tutti i big poi spazzati via dal fulmine di Mani pulite. Anzi, i maligni sostengono che quando si trattava di andare a pranzo, arte in cui il vecchio Psi eccelleva, lui faceva di tutto per finire vicino al grande capo. Suscitando naturalmente rabbie e malumori fra i colonnelli. E sempre Rino Formica, preoccupato per le spese sostenute in nome della cultura da quel fervente discepolo, se ne uscì - come ricorda Giancarlo Perna - con una sonora esclamazione: «Ma quanto c...o costa questo intellettuale».
Niente paura. Flores non è mai rimasto a lungo dentro la stessa casa e l'unica attività in cui eccelle con ammirevole costanza ormai da quasi vent'anni è la guerra al Cavaliere. Rilanciata in queste settimane con il tormentone sull'ineleggibilità, sponsorizzato da autorevoli teste coronate della sinistra e oggetto di una campagna martellante da parte del Fatto Quotidiano, con cui Flores si pregia di collaborare.
Dunque, il filosofo, che prima di essere craxiano, era stato sessantottino e trotzkista, lasciò presto il Psi e cominciò a virare verso la sinistra sinistra. Cercava due cose: un partito a sua immagine e somiglianza, impresa vana che ne ha fatto un nomade della politica, e soprattutto un luogo in poter maneggiare la ghigliottina di cui evidentemente aveva scoperto il fascino irresistibile alla corte di Bettino, il Luigi XVI della Prima Repubblica.
C'è stato un Flores targato Rete, poi un Flores verde, un altro Flores radicale e un altro ancora che ha votato Pd, calando sulle miserie del Palazzo la sua altissima motivazione: «L'ho fatto per non veder trasformare la democrazia in una gemella di quella di Putin».
Ma non finisce qui. L'instancabile e irrequieto pensatore si è accasato anche con l'Idv di Antonio Di Pietro cui poi, nel suo solito cupio dissolvi, ha chiesto di sciogliere il partito. Non ce l'ha fatta, anche perché l'Idv si è autosciolta per i fatti suoi a causa dei balbettii patrimoniali del suo ex immacolato leader.
Si sa, la Rivoluzione è maestra, a furia di epurare si finisce con l'essere epurati. Flores è sempre un passo in avanti su questa strada lastricata di traditori e per ogni contorcimento ha una spiegazione, anche se a volte è solo lui capirla. Così, quando gli tirano fuori i garofani e Mondoperaio, lui replica fiero: «Sono stato craxiano solo quando Craxi era anticraxiano». Inutile chiedergli la traduzione. Lui è il sommo sacerdote che lava i peccatori nel fonte battesimale della sua purezza e poi, puntualmente, li scomunica. Teologo della legalità, è stato il padre dei girotondi intorno ai tribunali, e ha trasformato la rivista Micromega nella palestra del giustizialismo tricolore, appaltando pagine su pagine a Marco Travaglio, l'allievo che ha superato il maestro come Giotto con Cimabue.
Di Mani pulite ha forgiato un giudizio così reverente come nemmeno un fedele davanti a un dogma: «L'inchiesta che non ha eguali nell'intera storia giudiziaria italiana quanto a garantismo verso gli imputati, cautela nelle indagini e ossessione nel procedere solo sulla base di prove incontrovertibili».
Adesso Flores balla intorno a Berlusconi, agita a gran voce la legge 361 del 1957 e vuol decretare l'ineleggibilità del Caimano.
E anzi ha trovato proprio nel floresdarcaismo l'elisir di lunga vita.
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