Anche il ministro dell'Economia e delle finanze, Vittorio Grilli, dopo Mario Monti, ha dichiarato che i conti dell'Italia sono in ordine. Non ce ne eravamo accorti. Anzi, pensavamo il contrario: non perché disponessimo di dati diversi dai suoi, visto che ci atteniamo a quelli ufficiali, ma perché, oltre a leggere le statistiche (attività sconsolante), abbiamo l'abitudine esecrabile di osservare la realtà. Che è drammatica.
Quando un Paese registra un costante aumento della disoccupazione, e un altrettanto costante aumento di aziende costrette a chiudere i battenti, nonché la crescita del debito pubblico e la diminuzione dei consumi, per non parlare del Pil (quello dell'Italia è negativo e tale sarà nell'anno in corso), significa che i conti non sono affatto in ordine. Ci stupisce che uomini come Grilli e Monti facciano gli gnorri. Vabbè. Lasciamo perdere: avranno i loro cattivi motivi per non ammettere la verità. Che non induce all'ottimismo.
Da anni ormai siamo in recessione e la famosa luce che i tecnici continuano a vedere in fondo al tunnel è un'illusione ottica. La crisi, lungi dall'essere in procinto di terminare, si acuisce di giorno in giorno, e le conseguenze bruciano sulla pelle dei cittadini, sempre più sfiduciati e addirittura rassegnati. Tant'è che un milione e rotti di disoccupati hanno perfino smesso di cercare un lavoro, consapevoli di non poterlo trovare perché non c'è. Si lasciano vivere in attesa di miracoli improbabili.
Gli economisti alla Monti, quasi tutti (salverei il professor Alberto Bagnai), con le loro predizioni solenni hanno rivalutato gli astrologi. Si ostinano a stare aggrappati alla sottana di Angela Merkel, che è bravissima a tutelare gli interessi della Germania a scapito nostro, e ubbidiscono quali scolaretti timidi e impacciati ai precetti europei. Non notano, nonostante vantino un curriculum da scienziati, che l'Europa è un bidone e che il mercato unico non esiste né esistono i presupposti per dare omogeneità al continente. Il quale è solo un'espressione geografica, privo di un comune denominatore bancario, di vigilanza, di politica industriale, estera, militare e fiscale. Cosicché ogni Paese marcia per i fatti propri infischiandosene dei problemi altrui. Ciò crea un caos tutt'altro che calmo, nel quale il sogno europeista degenera in barzelletta.
Dopo oltre mezzo secolo di tentativi velleitari tesi a formare una Ue in grado di emulare gli Usa, siamo ancora ai nastri di partenza; anzi, più indietro; l'euro e la burocrazia di Bruxelles hanno spolpato vari Paesi deboli: Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda, Olanda, Cipro e altri. Il principio che regola i rapporti nell'area della moneta unica è «mors tua vita mea». La Germania infatti è florida. Gli imprenditori tedeschi prelevano soldi a credito pagando tassi irrisori; i nostri, vessati da un sistema che pratica legalmente l'usura e da un fisco predatorio, non hanno alcuna chance per reggere alla concorrenza internazionale né possono sfruttare il mercato interno, afflitto da una riduzione impressionante dei consumi dovuta all'immiserimento dei redditi.
O l'Italia riesce a sconfiggere la politica cieca dell'austerità, che fa tanto comodo ai tognini, e a correggere i protocolli comunitari vigenti, oppure le conviene valutare l'opportunità di uscire dalla moneta unica. Senza la quale saremmo all'altezza di gestire il debito pubblico? In proposito non risulta sia stato svolto uno studio acconcio. Che si aspetta ad avviarlo? Una volta accertato che è stato un errore entrare nell'euro, più tardi se ne esce e peggio è. È incredibile come, invece, i partiti politici abbiano quasi paura ad affrontare la questione: si rifiutano anche solo di discuterne a livello teorico. La sinistra poi, che un tempo era di lotta e ora è di salotto, pur davanti al disastro provocato dalle soffocanti restrizioni europee, considera chiunque ne attribuisca le responsabilità a Bruxelles una specie di nemico, comunque indegno di assurgere al ruolo di interlocutore.
Eppure perfino il premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz, in un'intervista rilasciata a Repubblica si è espresso con chiarezza: «Il sistema attuale è instabile, incompiuto. Ci vuole più Europa oppure meno euro». È così difficile comprendere simile concetto? Il prossimo governo, qualunque sia, dovrà spremersi le meningi.
di Vittorio Feltri
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