Gabriele condannato, ma il Papa lo grazierà

Gabriele condannato, ma il Papa lo grazierà

RomaChe il tribunale vaticano sarebbe stato clemente nei confronti di Paolo Gabriele, l'ex assistente di camera del Papa condannato per aver rubato documenti riservati dall'appartamento del Pontefice, lo pensavano in molti. Ma che la sentenza inflittagli ieri, a fronte di una condanna di tre anni di reclusione, venisse diluita soltanto a un anno e sei mesi per le varie attenuanti riconosciute era cosa che in pochi immaginavano. Evidentemente la volontà del Vaticano di voltare velocemente pagina ha avuto il sopravvento su tutto. Tanto che ancora ieri, subito dopo la sentenza, è stato padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, a dire che «la possibilità della grazia da parte del Papa è molto concreta e molto verosimile». Nelle prossime ore, insomma, il Papa potrebbe di sua iniziativa graziare del tutto il suo ex maggiordomo e permettergli così l'inizio di una vita nuova, si pensa sempre alle dipendenze di un qualche organismo della Santa Sede a patto, ovviamente, che cambi condotta.
Domani inizia in Vaticano il Sinodo dei vescovi dedicato al tema della nuova evangelizzazione. Quasi cento presuli si raduneranno per un mese alla presenza del Papa. È evidente che la sentenza a Gabriele arrivata a tempo di record dice anzitutto della volontà di non avvelenare questo avvenimento con Vatileaks. Inoltre, fra una settimana, ancora il Papa sarà chiamato a inaugurare l'anno della fede in concomitanza con i cinquanta anni di apertura del Concilio Vaticano II e i venti di pubblicazione del nuovo catechismo. Anche qui si tratta di appuntamenti che celebrati in un clima di morbosa attenzione mediatica per le vicende del cosiddetto corvo avrebbero potuto perdere molto del loro carattere profetico e spirituale assieme.
Dunque dietro la sentenza c'è da parte del Vaticano soltanto la volontà di voltare pagina? La sensazione è che non sia così. Probabilmente si è voluto punire uno dei responsabili e lasciare poi che eventuali altri complici vengano individuati in tempi e modi diversi. Non è escluso che se il Papa verrà a conoscenza di un'implicazione di personalità del Vaticano di livello anche più alto di Paolo Gabriele, egli non agisca autonomamente ripulendo la curia romana dalle mele marce. Paolo Gabriele, in settimana, ha fatto diversi nomi di persone che in qualche modo sono stati suoi confidenti. Ma nulla dice che siano queste persone ad aver lavorato con lui per trafugare e poi distribuire i documenti rubati. Non a caso il vicario papale Angelo Comastri, tirato in qualche modo in mezzo da Gabriele, ha detto venerdì a margine della festa della Gendarmeria: «Sono stato pesantemente tirato in mezzo senza avere nulla a che fare con questi fatti». E nella stessa occasione Salvatore De Giorgi, uno dei tre porporati che hanno redatto per il Pontefice la relazione sulla fuga di documenti sulla quale vige il segreto pontificio, si è rammaricato per il clima sensazionalistico sollevato attorno all'accertamento della verità. Di certo c'è comunque che si conoscono i nomi delle due persone a cui Gabriele era legato e avrebbe consegnato i documenti: sono don Giovanni Luzi e don Paolo Morocutti.
La sentenza contro Gabriele, letta dal presidente del tribunale Giuseppe Dalla Torre alle 12,20 di ieri, prevede che ora l'ex maggiordomo sia trattenuto agli arresti domiciliari. Da ieri la difesa di Gabriele ha tre giorni di tempo per decidere se fare richiesta di appello, e eventualmente altri giorni per presentare le motivazioni. Solo dopo, dunque, la magistratura vaticana deciderà come far scontare la pena all'ex assistente di camera del Pontefice, se in un carcere italiano o se scatterà una sospensiva a causa delle attenuanti.
Padre Lombardi ha ribadito durante un briefing la «piena e totale indipendenza della magistratura vaticana rispetto alle altre autorità dello Stato di Città del Vaticano e il grandissimo rispetto mostrato dalle autorità della segreteria di stato che non hanno fatto alcun tipo di intervento o pressione che potessero condizionare l'andamento del processo». La sentenza, ha aggiunto, può essere considerata «mite, segno di umanità e di attenzione alle persone, applicando questa legge di Paolo VI che prevede la possibilità di riduzione di pena». Gabriele è rimasto impassibile, senza esternare alcun sentimento, alla lettura della sentenza.

L'unica reazione alla pronuncia della parola «colpevole» da parte del presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Dalla Torre, è stata un impercettibile battito di palpebre. La lettura della sentenza è stata trasmessa in diretta nella sala stampa vaticana.

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