Il silenzio di Soumahoro sulla coop che gestiva il ghetto dei migranti

Contro tutti, ma non contro i potenti: nessuna protesta, nessuna proclamazione di "autogestione" sulla gestione del lager di Borgo Mezzanone. Ecco perché il sindacalista con gli stivali ha taciuto

Il silenzio di Soumahoro sulla coop che gestiva il ghetto dei migranti

“Non possono appaltare la libertà dei braccianti”, “Libertà!”, “Via da qui”: questi gli slogan dell’ora deputato ed ex sindacalista Aboubakar Soumahoro contro la gestione istituzionale nei “suoi” ghetti foggiani, in particolare Borgo Mezzanone. Contro tutti, tranne uno: il colosso dell’accoglienza Meihospes, proprio quello che a Roma agisce in regime di monopolio, detenendo oltre il 63% dei centri di accoglienza della capitale.

Si scopre che la mega coop legata a Mafia Capitale ha un passato oscuro proprio nel ghetto-patria di Soumahoro. Era il 2017 quando Camillo Aceto, presidente al tempo di Senis Hospes e ora di Medihospes - stessa coop, ma con nome diverso - vince l’appalto per la gestione del Cara di Borgo Mezzanone. Un bando con una base d’asta di 21 milioni di euro per la gestione di un solo anno: una vincita che fin dall’inizio è apparsa controversa per svariati motivi. Al primo posto i legami tra Senis Hospes e il Gruppo La Cascina, presente in tutte le inchieste di Mafia Capitale e di cui proprio Aceto era il vicepresidente tanto che, al momento dell’aggiudicazione, proprio il protagonista aveva un avviso di garanzia legato a quei fatti. Ma c’è di più: le anomalie strettamente collegate a quel bando erano visibili fin dall’inizio a tutti, ma non hanno fermato l’aggiudicazione.

La base d’asta era appunto poco meno di 21 milioni di euro, ma la Senis Hospes propone un’offerta a ribasso - che gli permette di vincere - di 15 milioni mediante l’abbassamento della diaria sui migranti. Per legge il corrispettivo minimo da destinare ad ogni ospite dei centri accoglienza al giorno è di 35 euro, sul bando della Prefettura di Foggia era già ribassato a 30 euro ma Aceto propone soli 22 euro.

“Un’offerta anormalmente bassa, che suscita il sospetto della scarsa serietà”, affermò al tempo l’Autorità Nazionale Anticorruzione, che rimase però inascoltata. E Fabrizio Gatti - autore del dossier per l’Espresso “Sette giorni all’inferno” che ha permesso di avviare un’inchiesta dopo la documentazione delle condizioni inumane all’interno del ghetto - dichiarò: “La logica matematica ci suggerisce una sola cosa: o i funzionari della prefettura di Foggia hanno sbagliato a formulare i prezzi, o il consorzio della Lega Coop sapeva di non starci nelle spese. Anche se è davvero difficile pensare che 22 euro al giorno a persona non bastino a fornire il minimo di dignità”.

E infatti le cose non andarono nel modo giusto: nel 2018 il Viminale decise di revocare la gestione a Senis Hospes, che incassava un utile di un milione di euro al mese, a causa delle condizioni in cui venivano fatti vivere i migranti/braccianti. Sovraffollamento al primo posto, con 1400 persone al posto di 636 scritti nel contratto, misure di sicurezza inesistenti, personale praticamente inesistente, condizioni igienico- sanitarie al limite del vivibile e lavoro in nero mediante caporali che sfruttavano i braccianti con turni massacranti di più di 12 ore.

A livello giudiziario, dopo l’apertura dell’inchiesta, non sono emerse conseguenze concrete nei confronti della coop, ne di Camillo Aceto, tanto che negli anni successivi si è espansa ancora di più su tutto il territorio italiano con la vincita - all’ordine del giorno - di appalti milionari. A livello politico, nemmeno.

Quello che incuriosisce è la figura di Aboubakar Soumahoro: proprio nel 2018 si fidanzava infatti con Liliane Murekatete, ai tempi nel cda della Karibu di proprietà della madre - che ora è indagata per truffa aggravata - e che a quel tempo collaborava a Latina proprio con una creatura di Aceto. Karibu e “Le Tre fontane” - ora inglobata in Medihospes e anch’essa nel ciclone di Mafia Capitale - si scopre che si “dividevano” i migranti sul territorio pontino. Un filo diretto tra Foggia e Latina, tra il ghetto del deputato con gli stivali e le vicende della famiglia di cui dice di aver mai saputo nulla.

Un silenzio, quello di

Soumahoro, che pesa come un macigno considerando che la gestione della Senis Hospes è l’unica che non ha ricevuto le forti e potenti proteste di cui l’ex bracciante si è sempre fatto portavoce in nome dell’autogestione dei ghetti.

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