Roma - Signor ministro, in Italia ci sono 9 milioni di processi pendenti. Cittadini vittime della giustizia lumaca si sono visti riconoscere risarcimenti per 340 milioni. Le sembrano numeri degni di un paese civile?
«No, non lo sono. Sono numeri che devono farci capire l'urgenza di provvedere in un campo dove da anni non si provvede».
Sono le cinque di ieri pomeriggio, e nello studio del ministro di Giustizia Anna Maria Cancellieri arrivano le notizie sull'incredibile assalto al reparto della polizia penitenziaria a Gallarate che trasportava un ergastolano. «Cose che non si vedevano da trent'anni», dice preoccupata la Cancellieri. Ma sul suo tavolo c'è un grande faldone di carte che racconta come la giustizia italiana abbia anche un volto immutabile: quello dei processi interminabili, della giustizia negata. Sono le mail piovute in queste settimane sulla mail del Giornale. Il ministro legge con attenzione una delle tante storie, quella di una donna che da dieci anni attende una sentenza.
Cosa direbbe a questa donna, se la incontrasse?
«Che ha ragione, dieci anni sono un tempo inaccettabile. E il dramma di questa signora è il dramma di tantissimi cittadini che hanno del tutto perso fiducia nella giustizia. Questa è la cosa che fa più male. Un paese che perde fiducia nella giustizia non può andare avanti».
E quindi cosa farete?
«Interverremo in maniera laica ma decisa. Ci sono cose che si possono fare da subito, basta un po' di coraggio».
Qual è l'inghippo, dove è che si ferma tutto? Sono le norme sbagliate o sono gli uomini che non lavorano?
«Più che norme sbagliate vedo leggi scritte in maniera assurda, incomprensibile a chi non abbia tre lauree, e così negano la certezza del diritto. La norma poco chiara tradisce i cittadini, per questo nella Repubblica Veneta le leggi erano scritte in dialetto».
E gli uomini non hanno colpe?
«Gli uffici giudiziari hanno personale molto anziano e demotivato. Servirebbero uffici con gente premiata se porta a casa i risultati».
Lei parla dei cancellieri e degli impiegati. Io vorrei sapere se non esiste un problema di produttività dei magistrati.
«Io vedo soprattutto un problema di efficienza del sistema, di produttività collettiva. Tant'è vero che abbiamo esperienze luminose come Torino, dove grazie a prassi rigorose si sono azzerati gli arretrati, e Milano, dove i tempi di attesa sono ormai quelli europei. Bisogna esportare queste esperienze in tutta Italia».
La giustizia civile ha tempi tali che ci sono zone del paese dove il recupero crediti e gli sfratti vengono gestiti direttamente dal crimine organizzato.
«Lo so, ed è gravissimo. Il senso di impunità favorisce i più arroganti mentre i cittadini non sanno più a chi rivolgersi. Conosco storie di gente avvilita che ha investito tutti i suoi risparmi in un appartamento, e non riesce a sfrattare il prepotente che non gli paga l'affitto. Posso assicurare che non li considero drammi minori».
Nel frattempo, siccome le sentenze definitive arriveranno chissà quando, la custodia cautelare viene usata come espiazione anticipata della pena.
«Questo è l'altro problema che abbiamo. È passata la mentalità per cui l'unico conto che si paga è il carcere preventivo. Ma ci si dimentica che esiste una presunzione di innocenza. Per questo sono contenta che il Parlamento abbia in esame una norma che rende la custodia cautelare più difficile e che la riporta ai principi che il legislatore aveva individuato a suo tempo. Ma ricordo anche che c'è nel paese una forte richiesta di giustizia, la popolazione non è mai contenta, mai soddisfatta. E il nostro dovere è anche rendere inoffensivi quanti costituiscono un pericolo».
Per due volte di fila, due sentenze di grande importanza sono state oggetto di interviste dei giudici prima ancora della stesura delle motivazioni.
«Due magistrati che raccontavano le sentenze senza che fossero pubblicate: di fronte a questi fatti i cittadini non sanno più a chi credere e perché credere. Io penso che si debba essere rigorosi e avviare anche delle azioni disciplinari».
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