Venerdì sera di una fine giugno. Ore 18. Sedici milioni di italiani sono piazzati davanti al televisore a tifare - e soffrire - con Mario Balotelli & co. Intanto al ministero dei Beni culturali Dario Franceschini approfitta della distrazione di cittadini e media per mettere la parola fine a un decreto contrastato e contestato, che da mesi si porta dietro una scia di polemiche infuocate.
Mentre l'Italia è incollata alla tv, il ministro firma il decreto che aggiorna le tariffe per l'equo compenso. Una sorta di battaglia personale che porta avanti dal primo giorno in cui ha messo piede a Palazzo Chigi. In parole povere: ogni volta che compriamo un dispositivo dotato di memoria digitale - e in cui in linea teorica possiamo salvare contenuti protetti da diritto d'autore - una piccola parte dei nostri soldi vengono versati alla Siae per la cosiddetta copia privata.
Una tassa introdotta nel 2003 dopo una direttiva europea (è presente in tutti i Paesi dell'Ue e in alcuni casi con cifre ben più alte delle nostre) e che prevede che le tariffe siano aggiornate ogni tre anni. Nel 2012, però, Monti aveva altro a cui pensare e i governi successivi hanno rimandato la questione. Franceschini no.
«Aggiornerò l'equo compenso», aveva promesso ad aprile. E così per i prossimi tre anni quando compreremo uno smartphone o un tablet pagheremo - senza nemmeno accorgercene - da 3 (dispositivi fino a 8 Gb) a 4,80 euro (32 Gb) per il diritto d'autore contro gli appena 0,9 previsti fino a ieri per i telefonini. Un aumento di circa il 500%. E non solo: cd e dvd «costeranno» ai produttori tra i 10 e i 20 centesimi, mentre memory card e chiavette usb da almeno 4 Gb (ormai il minimo sindacale) circa 40 centesimi. E non si salvano nemmeno pc, smart tv e decoder con possibilità di registrare filmati.
L'ennesima tassa occulta, l'ennesima stangata decisa dal governo Renzi. Tasi, passaporti, rendite finanziarie, accise su benzina e tabacchi... Altro che far crescere l'Italia. E se questo non bastasse ci si mette pure il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a prenderci in giro. «In un momento in cui molti italiani affrontano una fase di difficoltà è urgente intervenire per contenere l'elevata pressione fiscale e l'onere del prelievo deve inoltre essere distribuito in modo più equo», ha detto ieri il numero uno di via XX settembre quasi fregandosene dell'evidenza dei fatti.
«Non chiamatela tassa sugli smartphone», prova a smarcarsi Franceschini, sostenendo che l'aumento delle tariffe non graverà sui consumatori, visto che telefoni e tablet vengono venduti a prezzo fisso e «il decreto non prevede alcun incremento automatico dei prezzi di vendita».
A Siae, musicisti e registi che esultano però, si contrappongono i produttori, che difficilmente decideranno di rivalersi sui consumatori ma sborseranno il balzello di tasca propria. Per Confindustria digitale si tratta di un «provvedimento ingiustificato, non in linea con lo sforzo che il Paese deve compiere per sostenere l'innovazione digitale». «D'altronde le multinazionali invece del 120% potrebbero crescere solo del 118%», scherza il presidente Siae Gino Paoli.
Tassa o non tassa?
Chiamatela come volete, resta il fatto che per far cassa il governo Renzi sembra disposto a tutto. Da una parte dà ad alcuni gli ormai mitici 80 euro. Dall'altra ci mette le mani in tasca e se li riprende con gli interessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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