"La guerra dei trent'anni non è mai finita. I magistrati si sentono polizia morale del paese"

Pigi Battista, il saggista commenta le ultime tensioni: "Il problema non sono le inchieste ma il connubio avvelenato e ancora vivo fra segmenti delle Procure e giornali"

"La guerra dei trent'anni non è mai finita. I magistrati si sentono polizia morale del paese"
00:00 00:00

Forse, siamo tornati al ’92.
«No, non c’è nessun ritorno - risponde Pigi Battista, editorialista e saggista - semplicemente questa storia non è mai finita».

Il conflitto fra politica e magistratura?
«No, mi spiace, qui non c’è un conflitto: una parte della magistratura, quella che ruota intorno all’Associazione nazionale magistrati, ha aggredito il Palazzo. È un’altra cosa».

Loro dicono di perseguire i reati.
«Non è vero. Piuttosto si ergono a guardiani della legalità, sono una sorta di polizia morale».

Oggi sono indagati alcuni autorevoli membri del centrodestra di governo o loro familiari. Che cosa dovrebbero fare i pm?
«Nessuno dice di non sviluppare le indagini, ci mancherebbe, ma qui c’è una trama diversa. Il connubio avvelenato fra segmenti delle procure e stampa porta a una character assassination, alla demonizzazione di persone che magari non sono indagate o non sanno di esserlo, come Daniela Santanchè che l’ha appreso dai quotidiani, in un turbine di rivelazioni o pseudo rivelazioni. Una pioggia che distrugge la reputazione di una persona e altera la nostra democrazia. È trent’anni che andiamo avanti così, e nessuno riesce a distinguere le vicende: è tutto uguale che tu sia indagato o imputato o condannato in primo grado».
Molte inchieste si sono chiuse con assoluzioni e proscioglimenti.

Questo non stride con quello che lei sostiene?
«Al contrario. Questo prova che è solo un pezzo della magistratura, la parte più politicizzata, che si comporta così. Questo prova invece che siamo alla barbarie: in queste ore la corte d’appello di Milano ha confermato il proscioglimento del presidente della Regione Attilio Fontana per l’acquisto dei camici. Va bene, ma il massacro è già avvenuto. Si ricorda? Le tv e i giornali, il conto in Svizzera, la mamma dentista e il cognato, il citofono, le urla “ladro”, “ evasore” e tutto il resto. Questo è rivoltante».

Qualcosa è cambiato rispetto agli anni di Tangentopoli?
«Certo, un monumento del giustizialismo come Piercamillo Davigo è caduto nella polvere e, anzi, fino a questo momento, è ritenuto colpevole. E poi c’ è stato il caso Palamara e non solo quello, ma il meccanismo non si è mai inceppato».

Il meccanismo?
«Si, quello di cui parlavo prima. Comincia a circolare un’accusa, al di là della qualità delle persone su cui pure si potrebbero avanzare obiezioni, e poi ti dicono che sei coinvolto. Che vuol dire coinvolto? Non importa. Ti trovi lo stigma addosso e tutto quello che succede dopo ha un’importanza relativa. Perché dobbiamo leggere sui giornali le chat del caso La Russa? Naturalmente, e mi rivolgo ai giornali vicini alla destra, lo stesso rispetto dovrebbe valere per il figlio di Grillo».

La libertà di stampa?
«Un mediocre copia e incolla che fa a pezzi la Costituzione, il garantismo, la presunzione di innocenza e la regola aurea che le indagini dovrebbero essere svolte in forma riservata e soprattutto il processo non dovrebbe essere fatto in piazza, a colpi di intercettazioni, suggestioni, mozziconi di frasi pescate qua e là. È tutto distorto, ma poi se dovessimo mettere in fila tutte le assoluzioni di questi trent’anni, non basterebbero tre pagine di giornali».

Come si esce da questa situazione?
«Il governo vari le riforme che ha abbozzato. Sull’abuso d’ufficio sono d’accordo anche i sindaci di sinistra, sulla separazione delle carriere c’è una disponibilità del Terzo Polo. Andiamo avanti, poi certo, gli esponenti della maggioranza imparino a usare con più rigore le parole. Se discetti di sostituzione etnica, come ha fatto il ministro Lollobrigida, devi sapere di cosa parli. Prima di aprire la bocca, meglio contare fino a tre».

Finirà questa guerra?
«Non so. Io so come è partita questa malattia: con Tortora e con la debolezza mostrata dalla politica in quell’occasione».



A cosa si riferisce?
«Sull’onda del caso Tortora, gli italiani votarono in massa a favore dell’introduzione della responsabilità civile dei giudici, ma la legge che fu approvata era una pistola scarica, una presa in giro. Allora quel pezzo di potere dentro la magistratura capì che l’avversario era debole, vulnerabile, e partì all’attacco. Trent’anni dopo siamo ancora allo stesso punto».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica