Hanno ammazzato il Pd

Sarà un nuovo partito di sinistra che vivrà in simbiosi con il grillismo. Oppure un partito radicale di massa tenendo conto delle culture di riferimento del suo nuovo segretario

Hanno ammazzato il Pd

Sarà un nuovo partito di sinistra che vivrà in simbiosi con il grillismo. Oppure un partito radicale di massa tenendo conto delle culture di riferimento del suo nuovo segretario. Già, il partito di Elly Schlein potrà essere tutto, ma proprio tutto, meno che una cosa. Prendendo come spunto la battuta di un eminente esponente del Pd e parafrasandola con una vecchia canzone di Francesco De Gregori si può dire: «Hanno ammazzato il Pd...il Pd è vivo». Appunto, chiamatelo pure Pd ma è già altro. Non è più il partito nato dalla fusione degli eredi del Pci (Ds) con quelli della sinistra democristiana (Margherita), che si erano ritrovati aprendosi ad alcune esperienze del riformismo socialista e laico. No, quello non esiste più. E di quel passato perderà sicuramente qualche pezzo se non addirittura un'anima. Al suo posto c'è un soggetto confuso che forgerà la sua identità, tutta da costruire, nelle battaglie sui diritti civili, mischiandosi ai movimenti femministi, alle istanze LGBT e a quelle pacifiste, gettando un ponte verso il grillismo sui temi sociali e ambientalisti. Più Jean-Luc Mélenchon con una dose di Fedez che non De Luca. Anzi il governatore della Campania nella nuova stagione dovrà dire addio ad una terza candidatura alla Regione.

Un partito più coniugabile con la piazza, che non con la cultura di governo espressa nel bene e nel male negli ultimi quindici anni dal Pd. Un agglomerato di massimalismo radicaleggiante che sforna proposte economiche che riecheggiano genericamente temi 5stelle e parole d'ordine della Cgil (patrimoniale, carbon-tax, il decreto dignità grillino, il salario minimo di Landini).

Qualcosa, quindi, di ben diverso da Pd. Del resto la genesi della nuova leader lo dimostra: la Schlein ha preso la tessera del partito appena due mesi fa; al di là della retorica del momento la tanto declamata affluenza alle primarie registra 600mila votanti in meno rispetto a quelli che elessero Zingaretti; e, addirittura, ci consegna una dicotomia tra il voto degli iscritti pro-Bonaccini e quello degli elettori pro-Schlein. Al punto che si può immaginare pure un'influenza «esterna» sull'esito delle primarie dato che l'elezione della Schlein fa comodo ai grillini che non sono più isolati e, per altri versi, al Terzo Polo che vede aumentare a dismisura i suoi spazi elettorali. Tutti possono approfittare dell'epilogo delle primarie meno il Pd, nella vecchia versione.

Un'elezione quella della Schlein che rivoluziona anche lo schema politico attuale. Si innesca una polarizzazione a sinistra speculare a quella che a destra ha portato al governo Meloni. Perché al di là della prudenza e dei camuffamenti è evidente che la strategia della Schlein punta a creare un asse con i 5stelle per controbilanciare lo schieramento di destra. Un polo che avrà un certo peso se si pensa che nelle ultime elezioni Pd, 5stelle, verdi e sinistra (cioè gli alleati di riferimento della Schlein) presero più dell'area di «destra» presente nella coalizione di governo, cioè Fratelli d'Italia e Lega (38,1% i primi, 34,9% i secondi).

Per cui nella nuova fase, tenendo conto dei bacini elettorali delle due aree estreme, lo scontro per la primazia tra i due poli finirà per giocarsi soprattutto al centro, con Forza Italia, innanzitutto, e Terzo Polo che possono diventare determinanti. È il corollario delle metamorfosi politiche: cambia la geografia e mutano peso e ruoli dei partiti. La politica è pure geometria.

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