Ce l'ho piccolo, il telefonino. E per le donne pare sia un problema. Quando estraggo il mio paleo-Nokia, un oggettino di soli dieci centimetri per quattro, le amiche mi guardano con compassione e le conoscenti con disgusto. «Ma perché non ne compri uno nuovo?», mi domandano esterrefatte. Vaglielo a spiegare che sei un conservatore non solo in campo politico, che non segui le mode e che ti hanno insegnato a buttare le cose solo quando si rompono. Qualunque risposta fornisca viene percepita come una scusa, una scusa patetica, e mi guardano come si guarda un matusalemme, un poveraccio o un avaro. Nella migliore delle ipotesi appaio loro come un ritardato tecnologico, che ormai è peggio di ritardato mentale.
Infatti, se critichi qualcuno definendolo «autistico» vieni sbranato dalle iene del politicamente corretto, se invece attacchi qualcun altro definendolo «vecchio» rappresenti il nuovo che avanza e ti applaudono (quindi se sei deficiente puoi sperare di essere integrato nella società, mentre se sei obsolescente devi rassegnarti all'emarginazione). Ho provato a giocare la carta patriottica, ma non ci sono cascate.
Ho detto che Apple è un'azienda californiana che dà dipendenza, che Samsung è una fabbrica sudcoreana affascinante come una cooperativa di nerd, che la nuova Nokia, comprata dalla Microsoft, incarna il declino dell'Europa incapace di darsi un futuro industriale, e che invece il mio telefonino d'annata, prodotto da una Nokia ancora finlandese, ricorda i tempi non dico della sovranità nazionale ma almeno di quella continentale, di quando Google e Facebook ancora non facevano il buono e il cattivo tempo a livello planetario, bellamente infischiandosene di frontiere, popoli e governi. Niente da fare. Magari è un discorso che poteva funzionare con militanti di Casa Pound, ma io non conosco donne che militino in Casa Pound (purtroppo o per fortuna, questo non l'ho ancora capito). Non conosco neppure Giorgia Meloni, per dire.
Conosco solo femmine che esigono dal maschio cellulari all'ultimo grido, non importa se assemblati su Marte o giù all'inferno. In verità conosco alcune laureate in filosofia e con una di loro ho evocato Emanuele Severino secondo il quale la tecnica, perciò anche lo smartphone, sarebbe la forma peculiare del nichilismo contemporaneo. Mi ha guardato molto perplessa e ho capito che le citazioni colte non possono nulla contro un iPhone 5, probabilmente nemmeno contro un Galaxy. Dicono che il simile curi il simile e allora, quando mi stufo di essere considerato un paria, o quando mi accorgo che il paleo-Nokia agli occhi dell'interlocutrice mi invecchia di dieci anni, faccio presente di possedere un iPad, e per giunta un iPad Air. Questo mi toglie di colpo cinque anni, meglio di una spa, di un'estetista, ma aggiunge perplessità a perplessità. Come mai il proprietario di un tablet recentissimo e costoso gira con un aggeggio che non farebbe gola a un africano appena sbarcato? Perché è più comodo, diamine. Perché mi cade una volta alla settimana e non si rompe mai. Perché ha una batteria che dura giorni mentre chi possiede uno smartphone è sempre a caccia di una presa. Perché non ho voglia né tempo di ricopiare la rubrica. Perché di ricevere mail h24 faccio volentieri a meno, se qualcuno ha fretta mi telefona e se non ha fretta posso leggerlo dopo.
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