Gli interessi in conflitto

Il Pd sa intimamente che nel caso di Berlusconi la giustizia penale, salvo emendarsi di tanto in tanto, non la conta giusta

Gli interessi in conflitto

Già. Non ci avevano pensato. Come mai, si domanda Michele Serra su Repubblica, come mai se il capo del Pd fosse condannato per reati penali il partito entrerebbe in crisi esistenziale, e quando invece è condannato il capo dell'altro partito, Silvio Berlusconi, è sempre il Pd a ballare, a dividersi, a non sapere che pesci pigliare mentre il partito del reo gioca la carta dell'orgoglio combattivo e della solidarietà personale? Io una rispostina meno corriva e indulgente di quella che si dà lo stesso Serra ce l'avrei. Non è che il Pd, come lui scrive temerariamente, ha smarrito l'etica, i criteri di buona vita; più semplicemente, il Pd è un'organizzazione politica e civile, e sa intimamente che nel caso di Berlusconi la giustizia penale, salvo emendarsi di tanto in tanto, non la conta giusta. Sa che, anche con il contributo di guru della sinistra e di un pezzo del Pd, oltre alla grancassa interessata dei media, sugli scudi (et pour cause) i rinfocolatori di Carlo De Benedetti, i primi ad avere avuto la tentazione di affermare il loro potere contrastando con accanimento giudiziario la delega sovrana di milioni di elettori a un leader sgradito, all'amico di Craxi, all'outsider dell'industria e dei salotti finanziari, sono quelli del famoso partito dei magistrati.

Le prove della politicizzazione e della costituzione in partito dei magistrati abbondano, e pesano quando si tratti di affidarsi ai tribunali per decidere il nodo politico gordiano della nostra storia recente. Mi piacerebbe intervistare Francesco Saverio Borrelli su questo punto, e domandargli se dietro il galantomismo delle buone intenzioni giustiziere non si sia nascosto, ma fin troppo evidente, un vergognoso pregiudizio politico, che tutto ha inquinato. Non fu lui stesso a ricordare, in un momento di collera verso l'allievo sfuggito al suo controllo e in procinto di diventare capofazione, che Di Pietro gli diceva, parlando di Berlusconi, «io a quello lo sfascio»?

Ma poi, Di Pietro. Se il Pd immaginato da Serra è tremebondo quando si tratti di affondare il colpo sul conflitto di interessi, è perché sa che il partito Rai è quello più potente, che è un partito di centrosinistra diviso in filiere e cosche, che Berlusconi ha fatto qualche birbonata lobbista ma nella sostanza ha rotto un monopolio di Stato, ed è vissuto, dopo i referendum da lui vinti che chiedevano di soffocarlo economicamente, di un regime di concorrenza controllata molto simile a quelli in vigore negli altri Paesi europei, arricchendo il sistema, negli anni del suo governo, di nuovi possenti attori e soggetti economici nel campo delle telecomunicazioni e della concorrenza radiotelevisiva.

Se è tremebondo e diviso, il Pd, se è sconcertato quando si tratti della prospettiva di una incapacitazione giudiziaria del capo del centrodestra, è perché sa quanto poco gli italiani si siano mai bevuti la fola del giornalismo pseudoinvestigativo, secondo il quale Berlusconia è la centrale del male e la magistratura inquirente la centrale del bene: lo sa, il Pd, perché su questo terreno e su queste parole d'ordine ha sempre perso o vinto di pochissimo, di striscio, le elezioni politiche, con il risultato che non è mai riuscito, con tutta la famosa e rassicurante serietà al governo, a imprimere il suo marchio su stabilità e riforme. Chissà se potrebbe mai vincere un Pd «renziano», che non ha paura di andare ad Arcore, che non fa della censura moralistica contro l'Arcinemico la sua cifra, chissà. Quel che è certo è che, se la magistratura si incaricasse di eliminare Berlusconi con metodi spicci, per lo meno dalla scena parlamentare, be', alla sinistra sarebbe tolto per sempre il trofeo che determina la legittimità a governare: avere sconfitto nelle urne gli altri, gli avversari, essere un'alternativa voluta dal Paese.

Serra scrive su Repubblica, l'organo politico del partito dei magistrati, il giornale che le ha infilate tutte, le battaglie sbagliate: con Di Pietro, fino allo sputtanamento finale; con De Magistris, fino alla catastrofe napoletana; con Massimo Ciancimino e Antonio Ingroia, icone dell'antimafia, nonostante esibizionismi televisivi che mandavano tutto in vacca, e comportamenti farlocchi e calunniosi, finché il vecchio Scalfari non mise qualche puntino sulle «i», con tutti coloro che hanno nel tempo cercato di lucrare politicamente sulle inchieste giudiziarie, in ogni campo, nel mercato e

nel mercato politico; ovvio che Serra non sappia darsi le risposte giuste, per lui imbarazzanti. Noi poveri servi del Cav quelle risposte le abbiamo e gliele cediamo, tanto sono chiare e irrecusabili. Ne faccia buon uso.

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