Ora va di moda dargliele a Monti oppure, a parti rovesciate, dargliele a Berlusconi. I due si picchiano di santa ragione, dopo la lunga stagione dell’idillio, e Bersani si agita o finge di agitarsi nei meandri della sua Italia giusta, con capitale a Rocca Salimbeni, Siena. Vabbè. Ma la Camusso? La leader della Cgil rischia di essere il vincitore delle elezioni. Vendola, lo si è visto, non serve a niente e conterà poco, disturba, fa casino, vuole un marito e un figlio, sarà accontentato come Elton John in Inghilterra, ma a sinistrac’è sempre uno più puro che ti epura, cioè un partitino abborracciato che ti toglie i voti con la bandiera di inchieste farlocche, con la demagogia antimafia, con un programma addirittura di rivoluzione civile del tipo«va’ avanti tu che a me scappa da ridere ». Susanna Camusso è affare serio, invece. Ha in mano molti iscritti ope legis , molto denaro che ne deriva, i concerti del 1˚ maggio, uno sterminato mare di pensionati che sono sempre demograficamente in crescita, ha una tradizione autorevole, un sistema di alleanze, sopra tutto un reticolo di poteri sociali e di patronage cui corrisponde il potere dei poteri, quello di veto dei tribuni della plebe, l’interdizione classista e la vocazione classista. Una volta i sindacati facevano almeno finta di fare il loro mestiere. Ora il maggiore dei sindacati agisce come un sottopartito o un superpartito, e il posto della Cgil nell’Italia giusta fondata sul lavoro di Bersani è molto chiaro. Camusso, che viene dai socialisti, è una tipica massimalista con la tendenza a non chiudere accordi, alla lotta intesa come ginnastica aerobica, ma dice di ispirarsi a Giuseppe Di Vittorio, mitica figura di sindacalista comunista del dopoguerra, uno che con il suo famoso «piano del lavoro» disse chiaro chiaro nei tormentati anni Quaranta e Cinquanta: con questa carta, che è la nostra pazienza e la nostra fatica e la nostra fantasia nell’inventare soluzioni produttive, noi che rappresentiamo i lavoratori partecipiamo alla ricostruzione del Paese, e chiediamo di essere ascoltati e premiati nei limiti compatibili con il forte sviluppo economico del capitalismo modernizzato al quale aspiriamo.
La Cgil di Camusso non ha firmato l’accordo sulla produttività,non ha accettato la riforma del mercato del lavoro limitandosi a svuotarla, ha fatto della pura demagogia televisiva sul registro della lotta alla povertà e del solidarismo statalista e dirigista, ha seguito la Fiom nella sciocca crociata contro la ristrutturazione produttiva della Fiat divenuta Chrysler-Fiat nel crogiolo della grande crisi a mercati aperti, non può dire di aver conseguito risultati significativi su salari e condizioni di lavoro e livelli di occupazione, né confederali e contrattuali nazionali né territoriali né aziendali, anzi; l’Italia, al contrario della Germania dove i sindacati cogestiscono le imprese e si considerano una variante dello sviluppo basato sul mercato e sul suo «orientamento sociale», è la patria dei salari bassi e della depressione occupazionale. Con quale credibilità, con quale autorità menzionano il nome di Giuseppe Di Vittorio? Su questo almeno il Cav dovrebbe convergere con Monti, non dico in modo troppo scoperto, il che elettoralmente non è più possibile, ma insomma, alla fine tutto si può fare: qualcuno dovrà pur battersi per non consegnare il governo del Paese ai veti della Cgil, alla sua idea tribunizia e proibizionista della cosiddetta concertazione, a questa impostazione del «piano» secondo cui come sempre il problema è quello della redistribuzione fiscale di una torta piccolissima e che si sgonfia sempre di più invece che la creazione di ricchezza sociale attraverso il funzionamento di un’economia di mercato aperta, sorretta dalla capacità dello stato moderno di sostenere redditi e periodi di inoccupazione flessibile con un sistema di ammortizzatori a tempo compatibile con un’economia sana. Susanna Camusso non ha ancora risposto all’obiezione, che non è liberismo sfrenato ma semplice buonsenso, secondo cui bisogna difendere il lavoro e non i posti improduttivi esistenti, non ha saputo trasformare la faccenda crudele dell’Ilva in una grande battaglia per restituire alle parti sociali e politiche l’autonomia confiscata dagli ideologismi della magistratura combattente, segue con pietrificato immobilismo mascherato da sindacalismo giudiziario la linea dura della Fiom contro il tentativo di Marchionne di ristrutturare gli impianti e riorganizzarli in modo da renderli appunto produttivi di reddito e di investimenti. Di Vittorio non andava in barca a vela come la Camusso, era comunista dalla fondazione del partito di Gramsci e Togliatti, fu un dissidente libertario ed era stato temprato nello stalinismo delle origini, ma era un italiano grande e significativo perché stava nella storia di questo Paese, non tentava di ostacolarla come fanno oggi sindacalisti ai quali Bersani consegnerà inevitabilmente un potere di interdizione che non meritiamo. Altro che Bilderberg e poteri forti, quello è il partito dei veti.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.