Bergamo, città diurna e fuori dal tempo dove l’arte vive grazie ai privati

Per l’importanza dei suoi monumenti si può accostare a Firenze, per la struttura urbana a Venezia. Gallerie e banche si impegnano nella conservazione dei beni

La Cappella Colleoni a Bergamo
La Cappella Colleoni a Bergamo

Se arrivi a Bergamo di notte la città si nasconde. Sono un viaggiatore notturno e già in passato ho classificato le città italiane in diurne e notturne. Non per l'animazione o la tanto ricercata «vita notturna» da cui le città piccole non possono essere agitate; ma per un'anima, quella che rende romantica e notturna Venezia, ma che troviamo anche, con diversi spiriti, più caldo ed euforico a Napoli, più tragico e dolente a Palermo. Firenze è supremamente diurna. John Ruskin infatti parlava di «mattinate fiorentine». E Bergamo, Firenze del Nord, è diurna, luminosa. La sua posizione la favorisce. Nella pianura padana si erge a 250 metri d'altezza. C'è una Bergamo Bassa e una Bergamo Alta. Entrambe storiche, ma l'Alta circondata da mura che ne delimitano l'accesso a partire dalla spianata con la bella chiesa gotica di Sant'Agostino. La sua vocazione romantica è anche nella denominazione del monte vicino, il Canto Alto.

Diversamente dalle altre città padane, Bergamo non ha né nebbia né afa. La città antica, prima romana poi longobarda. Poi il suo destino, come di donna bella, è di essere più volte conquistata. Libero Comune nel 1098, si unisce alla Lega Lombarda contro Federico II, poi tocca ai Visconti di Milano. Ma la sua stagione più florida è, a partire dal 1428, con la Serenissima. Poi sarà austriaca con il regno Lombardo-veneto, e infine liberata da Garibaldi che molti dei Mille reclutò a Bergamo. Per l'importanza dei suoi monumenti Bergamo può essere accostata a Firenze; per la sua struttura urbana appare come una Venezia in collina. E anche la sua maggior gloria pittorica è veneziana. Se, infatti, Venezia ha il suo pittore in Tiziano, Bergamo risponde con Lorenzo Lotto che da Venezia fu costretto ad emigrare per la prepotenza del collega. E con Lotto inizia una scuola pittorica che indicherà un percorso nella realtà, attraverso grandissimi maestri: Giambattista Moroni, Caravaggio, Carlo Ceresa, Evaristo Baschenis, Fra Galgario. Variazioni bergamasche della tradizione veneziana. In questa condizione Bergamo è una vera capitale della cultura. E, grazie al Lotto, una città d'autore.

Difficile dimenticare il mio primo viaggio, intorno al 1971, al secondo anno di università, disarmato e felice per le chiese di Bergamo, e per i paesi vicini. Le soste a Credaro, a Sedrina, a Celana, a Trescore Balneario: l'emozione, la sorpresa. A Ponteranica l'Angelo avvolto nel soffio rosa della veste leggera, sotto gli occhi distratti di Vittorio Feltri. Ma soprattutto, in città, la grande pala della piccola chiesa di San Bernardino in Pignolo. Colore e luce così intensi da moltiplicare l'effetto dell'Assunta di Tiziano ai Frari. A Bergamo Lorenzo Lotto sembra agire fuori dallo spazio e dal tempo: la sua Madonna fra i Santi è un'apparizione miracolosa, porta il paradiso sulla terra, mentre un angelo furbo e ammiccante distribuisce petali di rose. Il dipinto non è un'immagine ma uno stato d'animo, e ricordo l'anziano pretino che si avvicinò al giovane per condividere l'estasi della visione.

Un altro capolavoro come la pala domina una vasta aula di cui è il prolungamento prospettico, e l'emozione non è così forte, sostituita dall'ammirazione. Ma il Lotto intimo e segreto lo ritroveremo all'Accademia Carrara, nel giovinetto sognante con gli azzurri occhi spalancati, o nella florida Lucina Brembati il cui nome è affidato a un rebus: una «C» e una «I» dentro una falce di luna. La donna è vanitosa, con un buffo copricapo a nappe, e anelli, collane, perle e anche un corno d'oro. Ma Lotto si affeziona ai suoi soggetti, così come al ratto e spaurito angioletto di San Bernardino. E non finisce mai di sorprenderci quando ci accoglie nei cartoni animati pieni di vita e di racconto, col pretesto delle storie di Santa Barbara, nella Cappella più imprevedibile e suggestiva d'Italia, in concorrenza con il Sacro Monte di Gudenzio a Varallo: quella della Villa Suardi a Trescore Balneario. Anche questo contribuisce alla sua particolarità. Uno dei più grandi capolavori del Rinascimento italiano è proprio una cappella privata. Privato e pubblico a Bergamo non si distinguono, e questo vale per molti capolavori: dal Cavaliere in rosa, sublime ritratto di Giovanni Battista Moroni in Palazzo Moroni, alle Nature morte di Evaristo Baschenis in Palazzo Agliardi. In quelle stanze sentiamo la musica degli strumenti immobili. E questo spirito si ripercuote nell'attività culturale delle banche con le loro raccolte e le collane monumentali di libri sui pittori bergamaschi.

E anche nell'attività delle gallerie: penso a Lorenzelli, pioniere della riscoperta di tanti artisti; e, oggi, a Ceribelli, presidio di una ricerca che ha sempre l'uomo come protagonista, in una profonda dimensione religiosa, com'è nell'opera dell'ultimo grande pittore, bergamasco d'adozione, Gianfranco Ferroni. E aperte sono le case dei collezionisti, da Scaglia a Pandini. Nell'area di Bergamo si agita ancora la musica di Donizetti, in strade che sembrano ancora quelle percorse da Alessandro Manzoni sui passi di Renzo. Così se entri in Palazzo Terzi hai la sorpresa di vedere, sotto i soffitti dipinti da Francesco Cappella, lampadari con le candele, non per vezzo, ma perché non c'è luce elettrica e, in tempo reale, sei trasportato in un tempo perduto. In altre case, con la luce del giorno, ritroverai quest'aura, come nel Castello Camozzi-Vertova di Costa di Mezzate. Storia, tradizioni, artigianato, industria hanno avuto e hanno primati a Bergamo. Di Bergamo è il senatore Giovanni Morelli, pioniere dei conoscitori nella ricerca storico-artistica. Bergamaschi il restauratore Mauro Pelliccioli e i suoi concorrenti Stefanoni. Bergamaschi Giacomo Manzù e Mario Donizetti. E ancora i pittori della famiglia Locatelli, in particolare Romualdo, Raffaello, Stefano; il soave Aldo Salvadori, in dialogo con i pittori francesi da Matisse a Dufy. E lo scultore Giuseppe Milesi e il decano dei pittori italiani, Trento Longaretti. Tra i più giovani, seguiti dall'occhio insaziabile di Giovanni Testori, Franco Bonetti (purtroppo già scomparso), Alessandro Verdi, Bruno Visinoni, Aurelio Bertoni. E Maurizio Bonfanti e Francesco Parimbelli.

Gli artisti a Bergamo hanno una originaria verginità. Non seguono mode, non esprimono tendenze o schemi, ma quella stessa verità dell'uomo che avevano indagato Lotto e Moroni. La città riserva ancora almeno un gioiello: la Cappella Colleoni, capolavoro di Giovanni Antonio Amadeo, negli anni di più alta invenzione del Rinascimento. Mirabile, all'interno, il sepolcro di Medea con le sculture sul fondo contro lastre bicolori. Sulla cupola, l'affresco del Tiepolo. Con questa perfezione Bergamo non si è preclusa nemmeno la follia. E non dimentico l'esperienza di molti anni fa quando nel Teatro sociale, ancora nero per i crolli, l'incuria e il fuoco entrai, pieno d'indignazione e di speranza. In quello scenario presentai le opere di un pittore pazzo, Tarcisio Merati. Festose geometrie ossessive, come ingranaggi di una macchina misteriosa, Merati era vivo e felice.

Il manicomio per lui era stato protezione e rifugio, la pittura libertà. Così Merati trova posto in una storia di sensibilità turbate, a fianco di Lorenzo Lotto e di Ligabue, in quella dimensione «oltre la ragione» che potrebbe trovare museo a Bergamo. Città totale.

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