Inferni in cielo e in Terra: le 71 emergenze del pianeta

Dall'Aids alle guerre, dai meteoriti alla tecnologia arretrata, un team di studiosi ha catalogato tutte le "sofferenze" del mondo. La più letale? La scarsità d'acqua

Inferni in cielo e in Terra: le 71 emergenze del pianeta

Tre anni prima che crollasse il Muro di Berlino gli scienziati della WFS (diecimila scienziati di 115 nazioni) hanno dato vita alle attività interdisciplinari aventi come obiettivo lo studio delle Emergenze Planetarie e la elaborazione dei progetti-pilota necessari al loro superamento.

I risultati ottenuti con la realizzazione di cento progetti-pilota in cinquanta Paesi - molti dei quali nelle aree in via di sviluppo - permettono di concludere che - se c'è volontà politica - le Emergenze Planetarie possono essere affrontate e risolte.

Al fine di pervenire a un tale traguardo, non basta coinvolgere la comunità scientifica; è necessario far capire al grande pubblico quali sono le priorità, i bastioni dai quali combattere una grande battaglia di civiltà il cui obiettivo è la lotta alle Emergenze Planetarie in modo coordinato tra le nazioni e con un legame stretto con l'opinione pubblica. Proprio in quest'ottica, è fondamentale ricordare il passato, nel quale le minacce di oggi affondano le radici.

Nel corso di mezzo secolo il mondo è stato diviso tra due «blocchi» che, per semplicità, chiameremo Usa e Urss: fino al crollo del Muro di Berlino, qualsiasi zona del mondo doveva fare riferimento a uno dei due «blocchi». Un miliardo di persone (compresi gli italiani, grazie alle scelte politiche finora fatte) gode di un buon livello di vita (il più alto nella storia del mondo) in quanto ha avuto la fortuna di essere parte del «blocco» occidentale, democratico e libero. La restante parte del mondo, tuttavia, non è stata altrettanto fortunata.

La divisione del mondo in due blocchi creò un equilibrio del terrore fondato sulla cosiddetta «corsa agli armamenti», la produzione del maggior numero possibile di ordigni letali che portò l'Urss ad accumulare 40mila bombe-H ciascuna da un Megaton (un milione di tonnellate di tritolo equivalente). Parallelamente, nel settore delle tecnologie non belliche imperversò per mezzo secolo nel «blocco-Urss» il principio di produrre beni di largo consumo al costo minimo, cioè senza prestare alcuna attenzione alla distruzione dei tesori ecologico-ambientali. Con il crollo del Muro di Berlino si è aperto il sipario sui disastri ecologico-ambientali conseguenti alla scelta del «blocco-Urss» (produrre al costo minimo). L'esempio più clamoroso è la distruzione di quel tesoro unico al mondo e detto il «Mare di Aral» per la sua incredibile ricchezza marina; in effetti si tratta di un enorme lago il cui volume è stato dimezzato nel corso di mezzo secolo di violenza politica mirata al «costo minimo».

Nel «blocco-Usa», invece, l'esistenza del controllo democratico (assente in Urss) ha posto un freno alla produzione industriale indiscriminata. Ed è stata questa libertà che ha evitato in Occidente i disastri ecologici prodotti nel «blocco-Urss». Uno squilibrio di rovine che si trascina ancora oggi.

Ora, scongiurato il rischio di olocausto nucleare, rimane quello dell'olocausto ambientale. Dalle 60mila bombe-H che avrebbero potuto spazzare via l'umanità lasciando solo oceani e deserti, si è passati a 71 Emergenze Planetarie altrettanto tragiche, che devono essere risolte per salvare il mondo da se stesso. Gli scienziati del WFS da anni si interrogano in merito, catalogando le situazioni più critiche, valutando i rischi, raggruppando le minacce per macro-aree di intervento. Lo fanno da uomini di scienza, senza seguire la marea dell'indignazione popolare, il politically correct o le mode ambientaliste del momento. Lo fanno anche a costo di demolire dei veri e propri totem della credulità popolare, come quello dell'anidride carbonica. Già, perché una ricerca europea ha mostrato che per il 90% degli intervistati l'anidride carbonica è «un veleno». Colpa di un certo allarmismo che da decenni enfatizza il ruolo di un elemento chimico fondamentale alla vita sul pianeta nel fenomeno - peraltro molto sopravvalutato - dell'«effetto serra». Stessa cosa dicasi per la campagna anti-nucleare o per la paranoia del buco dell'ozono: falsi problemi, o comunque problemi di soluzione definita, che attendono solo norme e leggi precise per essere risolti.

No, il WFS si è concentrato sulle vere emergenze, le vere rovine del nostro mondo dopo un quarantennio di Guerra Fredda. E tra queste la prima, la più pressante, è di sicuro l'insufficienza delle risorse idriche. L'acqua, che costituisce il 70,8% del nostro pianeta, è in realtà distribuita in maniera del tutto disomogenea e l'obiettivo di portarla anche a quelle popolazioni che ancora muoiono a causa della siccità è senza dubbio la prima priorità che la comunità scientifica deve darsi. Ma tutti gli elementi terrestri costituiscono macro-aree di intervento: il suolo, con il suo dissesto dovuto all'eccezionale sfruttamento negli ultimi decenni; il clima, sottoposto all'inevitabile e naturale cambiamento perenne; il cibo, così scarso e mal distribuito; l'energia, che deve evolversi mutando le proprie fonti di approvvigionamento da quelle in via di esaurimento (petrolio e carbone) a quelle rinnovabili e potenzialmente infinite, come l'eolico e soprattutto il temuto nucleare.

E così si torna là da dove abbiamo cominciato, alla bomba H, alla politica dei blocchi contrapposti, a quella follia di scontro perenne dalla quale questo nostro pianeta cerca, a volte a tentoni, a volte scientificamente, una via di fuga.

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