Inizia la farsa delle primarie Pd Renzi: "L'Italia cambierà verso"

I programmi dei quattro aspiranti leader sono on line, in corsa Civati, Pittella e Cuperlo Il Rottamatore non si sforza, solo 18 pagine di proclami. Con un occhio alla premiership

Inizia la farsa delle primarie Pd Renzi: "L'Italia cambierà verso"

Ne resterà uno solo, e già si sa quale (e questo è uno dei guai che Matteo Renzi dovrà fronteggiare, perché una gara senza suspence rischia di demotivare gli scommettitori).
Ieri comunque si sono presentati in quattro ai nastri di partenza delle primarie Pd, ognuno con il suo documento e la sua piattaforma congressuale. E il suo slogan: «Cambiare verso» quello di Renzi, il più veloce e sintetico: solo 18 pagine. «Per la rivoluzione della dignità», il richiamo etico di Gianni Cuperlo (ma anche lui si tiene sul sobrio: 22 pagine). Gianni Pittella si allarga di poco, 24 pagine, con un titolo che guarda al sol dell'avvenire: «Il futuro che vale». Il più prolisso, sorprendentemente, è Pippo Civati, che per arrivare «dalla delusione alla speranza» ci mette 70 pagine.

Il documento Renzi è tutto sulla falsariga dei suoi ultimi interventi pubblici, a cominciare da quello di Bari. E si articola sulle tre tappe colà annunciate, dietro le quali si intravede in nuce un percorso da segretario a candidato premier a presidente del Consiglio: «noi possiamo cambiare verso al Pd», «il Pd deve cambiare verso all'Italia, «l'Italia può cambiare verso all'Europa».

Un percorso al quale Cuperlo si oppone subito, programmaticamente, teorizzando che invece occorre fare la «scelta politica e culturale» (sconosciuta ai partiti del mondo occidentale, per lo più) di separare i ruoli: chi fa il segretario non deve fare il premier, e - si immagina - viceversa: «L'identificazione dei due ruoli non ha funzionato», asserisce, e «il partito non è un comitato elettorale permanente a servizio dei candidati alle varie competizioni elettorali». Vallo a spiegare a Obama, o alla Merkel. Su una cosa non da poco, però, i due principali competitor mostrano una assonanza, e Civati e Pittella pure: le larghe intese (e dunque il governo Letta) sono una triste necessità del presente, ma per il futuro - più prossimo possibile - bisogna superarle. «È un orizzonte non più replicabile», taglia corto Pittella. «Crediamo nel bipolarismo e nell'alternanza - dice Renzi - Pensiamo che le larghe intese siano una faticosa eccezione, non la regola». E per arrivarci, afferma, tocca «al Pd fare la prima mossa» e cambiare il Porcellum alla Camera, «dove già adesso ci sono i numeri», evitando compromessi al ribasso (e «giochini neocentristi», come ha ribadito più volte) col Pdl. Cuperlo incalza: «L'orizzonte politico del Pd non sono le larghe intese come strategia, né un neocentrismo esplicito o camuffato», e assicura (pur bocciando il modello renziano del «sindaco d'Italia», troppo «presidenzialista») che «continueremo a batterci per il maggioritario a doppio turno di collegio». Civati vuole presto nuove elezioni «per chiudere il ventennio», quello berlusconiano, e vuole «riunire il popolo della sinistra» (in pratica fondersi con Sel). Un obiettivo che per Renzi è del tutto residuale: lui punta a ben altro. «Vuoi anche i voti del centrodestra? Sì. E di Grillo? Assolutamente sì. Non è uno scandalo, è logica: se non si ottengono i voti di coloro che non hanno votato il Pd si perde», dice netto il sindaco.

Sarà una coincidenza, ma a far da controcanto al candidato Renzi è piombato ieri (via Porta a Porta) il suo ex antagonista, e tuttora acerrimo nemico: Pier Luigi Bersani. Al quale non ne va bene una, del prossimo segretario del Pd. E visto che, assai probabilmente, non riuscirà ad impedirgli di fare il leader, proverà almeno a non fargli rifare il sindaco di Firenze: «Fare il segretario del Pd non è una sinecura.

È fuori dalla nostra tradizione che un sindaco di una grande città possa guidare anche il partito», scandisce (poi lo spiegherà alla sua amica Martine Aubry, sindaco di Lille e segretaria del Psf). E avverte: «Farebbe bene a non fare affermazioni così secche, perché il doppio incarico non lo decide solo lui». I renziani si spazientiscono: «Ma Bersani ancora pretende di dettare la linea?», chiede Ernesto Carbone.

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