L’odio per le Forze Armate della solita sinistra ipocrita

L’ostilità per la parata militare è figlia di antichi condizionamenti marxisti Una follia. Tanto che persino Napolitano dice di non toccarla: «Si deve fare»

L’odio per le Forze Armate della solita sinistra ipocrita

La parata del 2 giugno lasciamola dov’è. Cancelliamo invece le incrostazioni culturali e le banalità ideologiche figlie della più retriva cultura di sinistra. Chi pretende d’annullare la sfilata dei Fori Imperiali nel nome del terremoto segue gli stessi schemi mentali imposti all’Italia, 50 e passa anni fa, dai maître à penser di un partito comunista al soldo, allora, dell’Unione Sovietica. Un partito che non riconosceva alle Forze armate il rango d’istituzione della Repubblica e guardava all’Unione Sovietica come propria patria ideale. Un partito che s’emozionava al suono di Bandiera Rossa e detestava l’inno di Mameli. Un partito che propagandava l’antimilitarismo mentre i suoi intellettuali organici lo trasformavano in cultura di massa.
Nel 1976 sono proprio i condizionamenti di una cultura di massa imperante e non - come si vorrebbe - le ragioni economiche a spingere il ministro della difesa democristiano Arnaldo Forlani a cancellare la parata all’indomani del terremoto in Friuli. A garantire la sopravvivenza di quella radicata cultura anti militarista contribuiscono, negli anni ’80, i finanziamenti sovietici distribuiti a tutta la sinistra in lotta contro l’installazione in Europa dei missili americani Pershing 2 e Cruise. Grazie ai rubli di Mosca nasce il movimento che al grido «meglio rossi che morti» propaganda la filosofia del disarmo ad oltranza. Grazie a quell’aggiornamento ideologico l’antimilitarismo rosso diventa «pacifismo arcobaleno» sopravvivendo alla scomparsa dell’Urss.
Oggi quel fossile ideologico continua a condizionare il pensiero di chi s’illude di risolvere i danni del terremoto bloccando la sfilata dei Fori Imperiali. Se la richiesta rispondesse ad un ragionamento sensato basterebbe spiegare che i 2,5 milioni destinati alla parata di dopodomani sono già stati spesi per l’organizzazione dell’evento. Ma serve a poco. Dietro a tanta, immediata mobilitazione c’è solo il riflesso condizionato di chi continua a percepire l’istituzione delle Forze armate come un corpo estraneo che grava con i suoi costi sul resto della nazione. Fossimo ad aprile nessuno chiederebbe la cancellazione della celebrazioni per la Resistenza. Ma se di mezzo ci sono le Forze armate si può fare. E poco importa che siano l’istituzione di una Repubblica, nata dalla stessa Resistenza. In questo sonno della ragione ci si dimentica persino che da 30 anni a questa parte - dalla missione in Libano del 1982 ad oggi - l’unica istituzione cresciuta fino a competere con i nostri migliori alleati sono proprio le Forze armate.
Oggi i nostri militari in servizio tra Libano, Afghanistan e Kosovo rappresentano l’Italia ad altissimo livello conquistandosi il plauso di tutti i comandi alleati. Mentre il resto del Paese si dibatte in una crisi di valori ed idee le Forze armate si confrontano alla pari con il resto del mondo ed offrono l’immagine e il modello di un’Italia all’avanguardia. La parata del 2 giugno non serve insomma a dilapidare i denari del contribuente, ma a ricordarci che le Forze armate rappresentano oggi uno dei nostri migliori modelli. Ma al gregge anti militarista e pacifista tutto questo non importa. Allineato da 50 anni al suono degli stessi battagli ideologici segue sempre lo stesso sentiero. E grazie all’infatuazione per Nichi Vendola non s’accorge nemmeno che uno dei suoi storici pastori, quel Giorgio Napolitano che nel 1956 plaudiva all’invasione d’Ungheria, li ha abbandonati da tempo per diventare presidente della Repubblica e capo supremo delle tanto aborrite Forze armate.


Lo stesso Giorgio Napolitano che ieri - dopo un vertice sul terremoto con il premier Mario Monti, il presidente della Camera Gianfranco Fini e con quello del Senato Renato Schifani - s’è guardato bene dal rinunciare alla parata.

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