"Prendere o lasciare, non siamo al bar sport" aveva detto sprezzante Matteo Renzi al termine di una concitata direzione nazionale. Alla fine Gianni Cuperlo ha deciso di lasciare. E lo ha fatto sbattendo la porta in faccia al neo segretario piddino: "Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero".
Che le dimissioni di Cuperlo sia prodromiche a una vera e propria frattura è ancora presto per dirlo. Resta il fatto che lo strappo dell'ormai ex presidente del Pd all'indomani della direzione nazionale innesca una profonda ferita all'interno del Partito democratico. Se da una parte la proposta di Matteo Renzi sulla legge elettorale sancisce l'atto di nascita dell'Italicum, dall'altra segna infatti l'acuirsi della faida delle diverse anime che convivono (forzatamente) al Nazareno. Sebbene la minoranza avesse deciso di astenersi dando così vita all'Italicum senza alcun voto contrario, il botta e risposta non è passato senza conseguenze inosservato. D'altra parte, subito dopo aver incassato il via libera alla riforma della legge elettorale. i renziani sono stati i primi a chiedere la testa di Cuperlo. "Il livore e l'astio che hanno caratterizzato il suo intervento contro il segretario - aveva tuonato ieri sera la senatrice Rosa Maria Di Giogi - rendono evidente che non è in grado di garantire la terzietà richiesta da un ruolo di garanzia, come quello che ricopre".
Così, durante la riunione della minoranza, sono arrivate (puntuali) le dimissioni. Leggendo la lettera scritta al segretario per motivare la decisione, Cuperlo lo ha accusato di essere solito "replicare a obiezioni politiche con attacchi di tipo personale". Non ha mandato giù la stoccata del sindaco quando gli ha proposto di introdurre le preferenze. "Avrei voluto sentirti difendere le preferenze quando sei stato eletto nelle liste bloccate", gli aveva replicato Renzi. Sul momento Cuperlo si era trincerato dietro a un muro di silenzio. Oggi, invece, ha deciso di non lasciare nulla di non detto: "Mi dimetto perché voglio avere la libertà di dire sempre quello che penso - ha spiegato oggi - voglio poter applaudire, criticare, dissentire, senza che ciò appaia a nessuno come un abuso della carica che per qualche settimana ho cercato di ricoprire al meglio delle mie capacità". Renzi non si è affatto scomposto.
E, ricevute le dimissioni, ha tirato dritto rimettendo al centro del dibattito la riforma della legge elettorale: "Rimettere in discussione i punti dell’accordo senza il consenso degli altri rischia di far precipitare tutto". Non resta che vedere se i "suoi" parlamentari saranno disposti a seguirlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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