Lei tiene duro: "Non lascio. Ma dopo questa esperienza tornerò a fare l’imprenditrice"

La confessione: "Alcuni in Fdi non si rendono conto che questo capiterà anche ad altri"

Lei tiene duro: "Non lascio. Ma dopo questa esperienza tornerò a fare l’imprenditrice"
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A vederla arrivare a Montecitorio dove le opposizioni hanno messo in piedi il patibolo mentre i banchi della maggioranza sono vuoti, ti chiedi se Daniela Santanchè non sia stanca di ingaggiare l'ennesima battaglia. Basta un attimo, però, a comprendere che se non lo facesse non sarebbe più lei. Appare provata, magari delusa per l'atteggiamento di qualcuno dei suoi, ma per la ministra si tratta di questione esistenziale. «Io non mi dimetto - spiega senza giri di parole - non esiste. E la Meloni non me lo ha chiesto, non mi ha detto niente. Se me lo chiedesse lo farei un minuto dopo. La mia è una battaglia di principio. Posso fare l'elenco dei ministri che si sono dimessi per un rinvio a giudizio e poi sono risultati innocenti. Senza contare che io sono garantista da sempre. Mi sono battuta per gli altri, a cominciare da Berlusconi, ho visitato i colleghi pure nelle carceri, figurarsi se non mi batto per me».

Nella mente della Santanchè, sarà per carattere o per temperamento, non è contemplato il ritiro dalla lotta. Né Danielona si scompone nel guardare i pochi ministri che ha accanto e i banchi della maggioranza vuoti. «È successo già l'altra volta - precisa - teniamo questa vicenda bassa». Scelta forse giusta sul piano mediatico ma che non tiene conto del momento. «Molti - confida - non si rendono conto della situazione che viviamo, perché è già scritto che dopo di me capiterà a un altro. Mi sorprende chi nel mio partito sottovaluta questi rischi come se non avesse vissuto la storia degli ultimi trent'anni. Basta guardare al trattamento che stanno riservando a Delmastro. È la ragione della mia battaglia di principio, altrimenti avrei già mandato tutti a quel Paese. Comunque ho già scelto che dopo questa esperienza tornerò a fare l'imprenditrice. Sicuramente guadagnerei di più».

In questo sfogo c'è tutta la Santanchè. «A lei piace fare la Giovanna d'Arco - sorride in Transatlantico il leghista Stefano Candiani - e a noi piace che la faccia». In fondo c'è qualcosa di eroico nell'immagine della ministra che siede tra i banchi del governo quasi in solitudine, mentre le opposizioni - tutte - vorrebbero portarla al rogo. Appunto, le opposizioni. Tutti voteranno la mozione di sfiducia (anche se i centristi non l'hanno firmata), per dimostrare una parvenza di unità anche se i più esperti sanno benissimo che alla fine la richiesta di dimissioni sarà respinta e poi vai a ricordare che la Santanchè era sola, abbandonata. Quello che conta è il risultato che potrebbe trasformarsi - è tradizione - in una mezza sconfitta. È la storia di queste mozioni, di questi riti dagli albori della Repubblica. Quelle che hanno avuto un esito diverso in quasi ottanta anni si contano sulle dita di due mani. Racconta il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, di FdI: «Ormai la vicenda è incardinata. Con la mozione di sfiducia le opposizioni hanno trasformato un caso giudiziario in uno scontro politico. Così hanno compattato la maggioranza e l'hanno rafforzata. E noi ringraziamo».

Sarà pure vero, cosa sarebbe però la politica senza i suoi riti? Una scatola vuota, senza pathos in entrambi i versanti della barricata. È la ragione per cui Giuseppe Conte non si fa problemi per il probabile esito. «La Santanchè verrà salvata? Allora andrà male a loro - risponde - perché dopo averla abbandonata saranno costretti a salvarla. Non bisogna guardare all'oggi ma al domani».

Sarà, ma sull'argomento ci sono scuole diverse. «La dc - ricorda Gianfranco Rotondi il democristiano di FdI - istituì il principio delle dimissioni per avviso di garanzia. E dopo pochi mesi sparì». Dentro queste storie ci sono i calvari personali e c'è la politica; si sono Giovanna D'Arco e gli inquisitori. Oggi c'è addirittura chi si affida i sondaggi come Pilato. «L'opposizione - congettura il ministro Musumeci - fa questa crociata perché non ha altri argomenti. Daniela è una testarda ma l'avevo avvertita: non ti faranno respirare. Ecco perché questa vicenda va chiusa al più presto: o si decide che un ministro di fronte ad un rinvio a giudizio non deve dimettersi; o altrimenti si va nell'altro senso».

E alla fine, vuoi o non vuoi, il caso investe pure lo scontro del momento tra politica e giustizia, tra governo e magistrati.

«Noi possiamo anche introdurre la separazione della carriere - è l'analisi di Musumeci - ma dobbiamo essere consapevoli che fino a quando sarà un Pm a decidere se una persona può fare il ministro o no, non cambierà niente. Cosa seria sarebbe ripristinare l'immunità parlamentare secondo i dettami dei nostri padri costituenti quelli che secondo la sinistra scrissero la Carta più bella del mondo».

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