L'ex zarina Vincenzi nel fango: truccate le carte dell'alluvione

Il disastro del 2011 causò sei morti, ora l'ex sindaco Pd di Genova finisce in tribunale. L'accusa del dirigente della Protezione civile: così modificammo la cronologia dei fatti

L'ex zarina Vincenzi nel fango: truccate le carte dell'alluvione

Era presente o non era presente? Nel dubbio era, anzi è, impresentabile. Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova, ex presidente della Provincia di Genova, ex parlamentare europeo l'ultima volta davanti a un pm c'è finita due giorni fa. Accusata di aver taroccato una ricostruzione dell'alluvione del 2011 che a Genova provocò 6 morti per coprire l'inefficienza della sua amministrazione. A sostenerlo è Sandro Gambelli, ex capo della Protezione civile di Genova, che tira in ballo anche l'ex assessore Francesco Scidone e altri funzionari, che nel bel mezzo del disastro organizzarono una riunione per spostare orari, inventare volontari inesistenti, sbianchettare comunicati, ricostruire cronologie. Lei, Marta Vincenzi, nel faccia a faccia con il suo accusatore in procura dice: «È una bugia, non ero presente a quella riunione». Lui, Gambelli ribadisce: «Era presente, seduta accanto all'assessore, a quel tavolo non molto grande...»
Presente, non presente. Impresentabile. A dirlo sono prima di tutto i suoi compagni di partito. Il Pd, per statuto, avrebbe dovuto ripresentarla come sindaco nel 2012, alla scadenza del suo primo mandato. Ma non lo ha fatto, le ha organizzato le primarie e le ha schierato contro la donna più forte che avesse sotto mano, la senatrice Roberta Pinotti. La risposta dei compagni elettori è stata ancora più devastante: impresentabili tutte e due. Hanno preferito addirittura Marco Doria, prof radical chic, vendoliano di sangue blu, nobile votato da una delle sinistre più comuniste d'Italia.
Ma cosa aveva combinato Marta Vincenzi, ribattezzata «Supermarta» ai tempi della sua leadership alla Provincia di Genova per come faceva «rigare» tutti anche nel partito, per essere scaricata? La sua aria da maestrina, o meglio da preside in aspettativa, non l'ha mai fatta risultare simpatica. Ma soprattutto in tanti anni di amministrazione ne aveva combinate un po' troppe.
Nel maggio 2008, un anno dopo la sua elezione in Comune, in giunta scattarono le manette. Arrestato Stefano Francesca, il suo portavoce e braccio destro, molto più che l'uomo della comunicazione. Indagati due assessori del Pd alla Cultura e allo Sport, più altri due ex consiglieri comunali dei Ds.
L'accusa era decaduta per gli assessori e confermata per l'ex braccio destro del sindaco e per i consiglieri, che patteggiarono la pena. Per lei, il sindaco abituata a spostarsi più in là per evitare gli schizzi di fango di un'alluvione come di un'inchiesta giudiziaria, andò avanti senza battere ciglio: «Mi sento tradita». Così pure Marta Vincenzi cercò di non sporcarsi con il fango che sgocciolava dai viadotti dell'autostrada A7 Genova-Milano, la Serravalle. A Milano la procura indagava sulla vendita di azioni della società alla Provincia presieduta da Filippo Penati. L'imprenditore Marcellino Gavio aveva ottenuto l'equivalente di 8,93 euro per azione, facendo un affarone. Anche perché appena diciotto mesi prima, nel 1999, quelle azioni gli erano state vendute da Marta Vincenzi, come presidente della Provincia di Genova, a 1,60 euro.
Mica finita, perché nel marzo 2003, Marta Vincenzi era diventata assessore alle Infrastrutture del Comune di Genova nella giunta Pericu, e in quell'anno l'amministrazione civica vendette all'Amiu, società partecipata dei rifiuti, 11 milioni di azioni della Serravalle a 2,18 euro. Nel luglio dello stesso anno Amiu rivendette il tutto a 2,98 euro a Gavio, che dopo un anno, incassò da Penati 8,83 euro.
Un errore di valutazione? Magari ripetuto, ma pur sempre un errore? Al momento della sua elezione a sindaco, nel 2007, Marta Vincenzi era stata chiamata in tribunale per dirimere un conflitto di interesse, sul quale non si arrivò a sentenza per un vizio procedurale. Tutto perché suo marito Bruno Marchese era amministratore delegato e direttore tecnico della Engineering Impianti srl (e ne possedeva il 37,98 per cento delle azioni, mentre sua figlia Malvina Marchese ne aveva un altro 20,44 per cento), società che nel 2004 aveva pagato 50mila euro per sovvenzionare la campagna elettorale europea dei Ds (candidata eletta Marta Vincenzi). Lo stesso Bruno Marchese era dirigente di molte altre società di consulenza tra cui la Consorzio Rete, partecipata al 16,667 per cento dalla Sias di Marcellino Gavio. Mentre la Fisia Italimpianti, socio unico la Impregilo di Gavio, era capofila nell'appalto della metropolitana di Genova. Così come nel consiglio di amministrazione di Impregilo sedeva Maurizio Maresca, immediatamente chiamato nel 2007 da Vincenzi come consulente del sindaco.
Di Marta Vincenzi sindaco e della sua gestione delle consulenza si è interessata anche la Corte dei Conti. E i magistrati contabili sono arrivati a chiederle di restituire al Comune, insieme ai suoi assessori, circa 200mila euro per danno erariale. Semplicemente, appena diventata sindaco, un funzionario stipendiato dal Comune si era dimesso ed era subito stato riassunto come consulente esterno per 100mila euro l'anno più i premi produzione. E 200mila euro li ha incassati come consulente anche il professor Luigi Bobbio, figlio del filosofo Norberto. Risultato? Tanti discorsi, nuovi progetti, nulla di fatto.

Come per tutto il resto che ha reso l'ex Supermarta un'impresentabile agli occhi dei suoi concittadini. Non ai suoi occhi, visto che dopo il disastro di Bersani e del Pd, l'impresentabile ha già annunciato: «Mi ripresenterò io».

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