Alcune diventeranno magari oggetto di collezione, come il francobollo «Gronchi rosa»: targhe vissute lo spazio di un mattino, testimonianza su fondo blu della gloria effimera di paesoni assurti al rango di capoluogo. Chi potrà mai ricordare, tra pochi anni, di avere visto aggirarsi per le nostre strade un veicolo targato BT, ora che la provincia di Andria-Barletta-Trani scompare in fasce sotto la scure della spending review? O un camioncino targato VB, marchio della soppressa provincia del Verbano-Cusio-Ossola? E che dire di KR, che forse neanche i vigili urbani sanno identificare al volo come targa di Crotone, e che scompare nei flussi della storia dopo avere visto immatricolare poche centinaia di vetture?
L'accorpamento delle province italiane varato dal governo Monti ha questo effetto collaterale: fatuo finché si vuole, ma che va a toccare corde e sensibilità profonde dell'animo italiano, paese di mille campanili e di rivalità irriducibili. Da sempre, la targa dell'auto simboleggiava le grandeur locali, dimostrava la preminenza di un Comune sull'altro, e in suo nome si combattevano battaglie degne di miglior causa, con il concorso silente ed operoso di lobby parlamentari. E si può stare certi che il lavorio sotterraneo delle lobby tornerà a farsi sentire in corso d'opera, quando il Ministero delle infrastrutture - da cui dipende la Motorizzazione civile, l'ente che decide le targhe degli italiani - dovrà decidere come tradurre in sigla automobilistica la nuova mappa, le sue soppressioni e accorpamenti. Accetteranno a Treviso di girare con la macchina targata PD? Ad Avellino di avere la Panda targata BN? Si prevedono mozioni e mobilitazioni.
Un assaggio si era già avuto nel 1998, quando i ministri ulivisti Paolo Costa e Claudio Burlando avevano, col decreto 355, reintrodotto la sigla provinciale sulle targhe automobilistiche italiane, da cui era stata eliminata appena quattro anni prima. Contro l'anonimato geografico delle vetture era insorto il Belpaese, sotto la guida - chissà perché - del regista Franco Zeffirelli, che accusava l'arida sequenza alfanumerica di calpestare identità scolpite nei secoli. Il decreto Costa-Burlando pose rimedio all'oltraggio ma in modo, come dire, un po' all'italiana: perché la sigla della provincia veniva reintrodotta ma come elemento accessorio e quasi decorativo, e all'uzzolo dell'automobilista veniva rimessa la decisione se applicarla alla targa o farne a meno. Già in quella sede, la genesi del decreto 355 fu l'occasione per regolamenti di conti e aspre lotte di potere. Gli abitanti di Urbino ottennero finalmente che la sigla PS - che dava visibilità solo alla adiacente e aborrita Pesaro - venisse sostituita con la cacofonica PU; quelli di Trento, che evidentemente covavano un complesso di inferiorità, ottennero che anche la loro sigla venisse ornata da un minuscolo stemma come quella di Bolzano; e i romani scamparono in extremis alla abolizione del privilegio littorio, il nome della Città Eterna riportato per intero, che aveva corso il rischio di venire riassunto nell'anonima sigla RM.
Ora si ricomincia. Si dovrà decidere dove hanno sede la questura, la prefettura, la federazione del Pd. Ma anche e soprattutto che targa porteranno le auto delle nuove, sterminate province frutto dell'accorpamento. Per alcuni ci sono poche speranze: Monza e la Brianza vengono inghiottite nuovamente da Milano, e la targa MB viaggia inesorabilmente verso la discarica della cronaca; Po torna ad essere solo il nome di un fiume, e non più la targa delle vetture in giro per Prato, che torneranno ad essere marchiate FI. Ma in altre realtà l'esito della disfida si annuncia incerto: difficilmente a Livorno accetteranno di essere targati PI, o a Varese di essere marchiati CO.
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