I sardi hanno risposto ai manganelli con le matite», assicura la neo-eletta governatrice di Sardegna. Alessandra Todde ha studiato a Pisa, si dice «molto colpita» dalle cariche sugli studenti, e le collega non si sa quanto fondatamente alla propria vittoria.
Grande fair play istituzionale tra lei, Giorgia Meloni e il candidato sconfitto Truzzu: «Mi ha chiamato la premier per farmi i complimenti e ha sottolineato molto giustamente che, nonostante le posizioni diverse, collaboreremo proficuamente. E anche Truzzu mi ha chiamato, è stato assai corretto». La conferenza stampa sui risultati del voto sar« do, causa ritardi monumentali nel conteggio dei voti, è stata spostata da lunedì sera a ieri mattina. Con annessa foto ricordo della governatrice insieme a Elly Schlein e Giuseppe Conte, che si marcano a vista e non ripartono dalla Sardegna finché non sono certi che anche l’altro sia decollato. A Todde tocca pure un siparietto con Flavio Briatore: «Ha detto che non verrà più in Sardegna perché ho vinto io? Problema suo, noi riusciremo a campare anche senza di lui». L’imprensi afditore del Billionaire però fretta a smentire: «Mai detto questa cazzata, nessuna dichiarazione a favore o a sfavore: è una manager e spero faccia bene».
La segretaria Pd sprizza gioia da tutti i pori: la scommessa sarda la rinsalda nel partito, dove tutti si riallineano prontamente: «È la dimostrazione che la direzione intrapresa un anno fa è quella giusta», rivendica. «Era dal 2015 che non vincevamo una regione al centrodestra, la Sardegna è stata la prima e non sarà l’ultima». La sua speranza è che ora il capo 5S accetti di trattare anche su Basilicata e Piemonte, dove tutto è ancora in altissimo mare, concedendo al Pd di scegliere almeno un candidato. Ma quello la gela: «In quelle regioni ci sono difficoltà a convergere».
E comunque: «Prima aspettiamo il voto in Abruzzo, poi discutiamo», dice, rinviando di un’altra settimana la partita che Schlein aveva promesso ai suoi di chiudere subito dopo la Sardegna.
I due hanno trascorso la notte dei risultati insieme, a celebrare festosi. Elly che cantava il solito «Bella Ciao» (ormai colonna sonora di ogni party frizzante, con buona pace dei poveri partigiani) mentre Conte schitarrava, modello Apicella, e intonava un po’ incerto - canti a cappella coi tenores sardi (noti per riprodurre i belati delle pecore). Sono le ore piccole, tra lunedì e martedì, quando confida al telefono: «Siamo tutti ubriachi, siamo passati dal mirto al Cannonau». Poi saluta Elly (in eskimo verde): «Ho bevuto, ho pure cantato, ora devo andare a riposare». Ieri mattina, smaltita la notte brava, il leader grillino si dedica all’analisi politica, senza promettere troppo sulle magnifiche sorti e progressive dell’alleanza col Pd: «Sicuramente la Sardegna è una prima prova» per il campo largo.
Del resto «c’era stata anche Foggia, che non trascurerei anche per ragioni territoriali e mie di affezione personale». Non a caso, anche a Foggia il candidato lo aveva imposto lui: modello che certo non gli spiacerebbe seguire anche per le prossime politiche.
Ma la segretaria dem è convinta di poterla spuntare: «Avete visto i voti di lista?», dice ai suoi. «I 5s hanno la metà dei nostri voti. La guida spetta a noi». Ma sa bene che Conte aspetta le Europee per tentare di ridurre al minimo le distanze e prendersi il volante.
Intanto Carlo Calenda apre al campo largo: «Alle regionali non si può correre da soli».
Arriva anche la benedizione di Romano Prodi: «Più il centrosinistra si unisce più vince». Non andò esattamente così con la sua Unione.Ma, per parafrasare il dottor Johnson, i campi larghi sono il trionfo della speranza sull’esperienza.
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