L'orrore in nome del "troppo amore" malato

Ieri a Busto Arsizio una mamma ha gettato dalla finestra i suoi due piccoli. Qualche giorno fa un poliziotto aveva sparato al figlio di 7 anni, che ieri è morto

Domando scusa se non riesco a commentare il gesto di questa mamma di Busto Arsizio, che ha gettato dalla finestra i suoi due bambini, una piccola di tre anni e il suo fratellino maggiore, di sei. Le sue parole sono più folli del gesto: l'ho fatto per il loro bene. Si sprecherà il nome di Medea, la disgraziata eroina di Euripide. Ma in verità tutto questo è solo aria che ci batte contro le orecchie. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa. Quello che importa è che i due bambini non sono morti, e che probabilmente ce la faranno. La lesione del maschietto a una vertebra non ha danneggiato il midollo spinale, e l'emorragia polmonare della piccolina potrà essere curata. La domanda che sorge, prima di ogni altra, non è «cosa ha spinto quella donna?», ma «e adesso che ne sarà di quei bambini?».

Perché il danno fisico che hanno subito è niente in confronto con altri danni. E non c'è solo il fatto che hanno visto chi stava cercando di ucciderli, ossia la loro mamma. C'è anche un pensiero feritore, assassino, di cui forse anche la loro mamma è stata vittima. Ho sentito molte donne, compresa mia moglie, ripetere che il parto è un trauma. La persona che viene al mondo comincia ad allontanarsi, ad andarsene, fin da subito. Finché era nel suo ventre, la donna poteva (forse) considerarlo parte di sé, dopo la nascita non più. Chi è nato è un'altra persona, un individuo a sé, con un'intelligenza e una libertà tutte sue. Con la nascita ha inizio il tempo, si comincia a vivere e anche a morire, ma soprattutto si comincia ad essere quello che si è. Il pensiero assassino entra a questo punto, e si alimenta di articoli di giornale, di tv-trash, di romanzi facili, di allarmismo generalizzato, di sociologia e psicologia d'accatto. E consiste nell'idea che un figlio è cosa nostra, ci appartiene. Fino a scambiare questa sopraffazione con l'amore. Siamo talmente bombardati da questo pensiero violento da esserne tentati - tutti lo siamo - e qualche volta vinti. Il terrore che i nostri figli non ce la faranno, che il mondo è troppo brutto, che la crisi li spazzerà via può trasformarsi in psicosi, come nel caso della povera donna di Busto Arsizio, ma all'origine è un pensiero, una cultura ben formulata in libri e teorie. Tutti possiamo pensare certe cose.

Ma proprio in quel momento la cosa più importante è di non essere soli. Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci dica: hai detto una cretinata, cerca di correggerti. Forse quella donna è rimasta sola per troppo tempo, forse per troppa timidezza si è pensato di lasciarle i suoi bambini, dopo che era stata ricoverata in un reparto psichiatrico.

Ma adesso che ne sarà di quei due bambini? Adesso, più che mai, hanno bisogno di qualcuno che non soltanto curi le loro ferite fisiche e morali, ma che spieghi loro che la vita, a dispetto di tutti gli orrori possibili, è terribilmente bella e struggente, e vale la pena non una , ma un milione di volte di essere vissuta.

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