L'ultima carezza: andarsene insieme una dopo l'altro

La moglie di Febo Conti, scomparso quattro giorni fa, non ha retto al dolore. Come Sandra dopo Raimondo e come Giulietta dopo Federico

L'ultima carezza: andarsene insieme una dopo l'altro

Cinque minuti, cinque mesi, una manciata di giorni. Tanto si resiste sole. Tanto ci si adatta da azzoppate, si sta in bilico sul baratro di un'odiosa asimmetria, scomode e infelici. Succede quando si è stati capaci di essere due: stretti, no, anzi vicini, in un equilibrio al quale hanno finito con l'obbedire i gesti, la voce, gli spazi, il rispetto. Succede quando si sono rinsecchiti i rancori: sbriciolati, diventati polvere e volati via, non nascosti sotto al tappeto. Quando hanno smesso di darti fastidio i tic e gli starnuti, le fissazioni e gli errori, le piccole viltà come le frasi ripetute alla noia, sempre le stesse, sempre allo stesso momento, sempre sulla stessa cosa: perché tutto si è accordato a dovere ed è addirittura bello quello che si ascolta. Da vecchi ci si arrende all'amore con più pazienza e si dimentica, più per giudizio che per perdita di colpi. Ci si scorda quello che si deve scordare e si tiene il resto, le ore durano di più e si cerca di riempirle meglio, vanno lente e le si accarezza di ricordi belli. E in due si ricorda meglio.
Giovedì scorso è morta la cantante Italia Vaniglio, quattro giorni dopo suo marito Febo Conti. Il suo corpo si è esibito in una metafora perfetta: ha fermato il cuore. Si erano sposati nel 1953, la cantante e il pioniere della tv, e si erano anche detti addio a un certo punto, in mezzo a un'altra vita. Poi erano tornati assieme e avevano ripreso il ricamo della dimestichezza: pentiti, complici, felici, domati. Martedì Italia, ottantaseienne e appena dimessa dall'ospedale, aveva voluto far visita alla camera mortuaria del marito ed è stato allora che il cuore si è inceppato: l'Usignolo era diventato troppo triste. Ieri sono stati cremati assieme e le loro ceneri verranno sparse nell'oceano del Brasile, dove avevano una casa e dove volevano tornare.
Non è durata una settimana senza l'uomo che le è durato per tutta la vita. Germaine Lecocq neppure cinque minuti: aveva conosciuto Giorgio Amendola, l'alto dirigente del Partito comunista, mentre lui era in esilio a Parigi e si erano sposati in fretta e furia, con un rito civile, a Ponza, dove Giorgio era stato mandato al confino. E poi assieme la Francia, la Tunisia e l'Italia. A sbuffare ideologie e fumo di sigarette, a disegnare il cerchio perfetto, a smaltire anni di Piombo e dolori: come la morte, nel 1974, di loro figlia Ada che aveva solo trentotto anni. Fu Germaine ad aiutare il marito alla stesura dell'ultimo manoscritto e fu Germaine a spegnersi pochi minuti dopo di lui. Giulietta Masina è sopravvissuta cinque mesi a Federico Fellini. E non si sa nemmeno come: annientata, impastata, imbevuta di quell'uomo com'era. Un benedetto tormento durato tutta la vita. Sembrava gli si consumasse addosso e poi gli rinascesse accanto Giulietta: i film e loro due, loro due e i film. Quell'eterna bambina che si faceva vecchia all'ombra dell'omone, nemmeno la voce è mai cresciuta a Giulietta. Giulietta è morta a cinque mesi, dopo Federico.
Cinque mesi... Come la Mondaini e Vianello.

Sandra è rimasta qui ad ammalarsi e a cercarlo. Poi lo ha raggiunto perché non aveva senso: che barba, che noia senza noi due. Gliel'aveva detto anche qualche mese prima che Raimondo la lasciasse: «Se muori prima tu, sognami».

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