L'ultimo non re d'Italia

Cronaca rosa e sangue blu, addio a Vittorio Emanuele di Savoia

L'ultimo non re d'Italia

Ci sono momenti nei quali la vita di un uomo può cambiare improvvisamente. Se poi costui è un bambino, ricco, nobile, erede, allora siamo di fronte a un evento storico. Questo raccontano i libri, alimentati dai mormorii di corte. L'infante poteva diventare re d'Italia, con il nome di Vittorio Emanuele IV, all'età di sette anni. Non accadde e, ottanta anni dopo, il re mancato ha concluso la sua esistenza a Ginevra. Storia strana e confusa di un Savoia alle prese (...)

(...) con la cronaca nera, rosa, di colori vari, ma raramente quelli blu come si usa dire per il sangue dei nobili.

L'idea del colpo di Stato venne a Benedetto Croce che, volendo tenere a distanza il Paese buono dal regime fascista, mise sul tavolo la proposta: re Vittorio avrebbe abdicato, suo figlio Umberto, erede, avrebbe rinunciato al trono sul quale si sarebbe dovuto accomodare l'imberbe di anni sette, protetto e guidato dalla reggenza di Pietro Badoglio. Il quale già nel '38, su ispirazione clandestina di Maria José, regina consorte, era stato sollecitato a un golpe che avrebbe esautorato Mussolini, il governo sarebbe finito nelle mani di un facoltoso avvocato di Milano di chiara fede antifascista e così la stessa Maria José sarebbe stata reggente fino alla maggiore età del figlio. Il ragazzino si sarebbe portato appresso una onomastica da esaurimento nervoso, all'anagrafe napoletana, luogo di nascita, risultava registrato, addì 12 di febbraio del Trentasette, come Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia, principe di Napoli. Né la regina, né il filosofo di Pescasseroli riuscirono a perfezionare i loro disegni. La guerra avrebbe sconvolto ulteriormente i piani, il mancato sovrano dovette obbedire all'ordine del padre e, insieme con le tre Marie sorelle, Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice e alla madre, partì per il Piemonte dove prese dimora a Sant'Anna di Valdieri, nella provincia di Cuneo, le palazzine

oltre il torrente Gesso erano dotate di collegamenti telegrafici con Roma. Il clima, non quello atmosferico, si era fatto pesante, soprattutto in quella zona, la comitiva traslocò in Val d'Aosta nel castello di Sarre, residenza di caccia della famiglia. Nuove voci preoccupanti consigliarono di partire oltre frontiera, era l'8 settembre quando i quattro figli in auto raggiunsero la Svizzera dove li attendeva la madre. Mesi concitati per chi aveva capito come il regno stesse per concludere la propria storia, l'incrociatore Duca degli Abruzzi portò il gruppo in esilio.

Questa è la cronaca del prima, c'è stato un durante e un dopo nella vita di Vittorio Emanuele IV re mancato. Vicende buie, pettegolezzi, ferimenti, fughe, confessioni, smentite, tribunali, carcere e una faida di famiglia scatenata da un episodio che sembrava marginale, il matrimonio civile di Vittorio Emanuele con Marina Doria, figlia dell'industriale proprietario della famosa ditta ligure di biscotti, lei svizzera, campionessa di sci nautico, imparentata con Andrea Doria, dunque discendente araldica di un marchesato ma priva di stato nobiliare. A questo si aggiungeva che le nozze, civili a Las Vegas, religiose a Teheran, non ebbero il consenso di Umberto II. Vittorio Emanuele si era proclamato sovrano, in modo che con «decreto reale» Marina Doria potesse vantare il titolo di duchessa di Sant'Anna di Valdieri, nel Settantadue nacque Emanuele Filiberto e scoppiò la lite con il cugino Amedeo Savoia d'Aosta. Infatti, secondo la legge dinastica sabauda, il principe, con quelle nozze, era destituito di qualsiasi titolo e diritto di successione. Sempre secondo tale legge, il titolo di capo di casa Savoia, e dunque di pretendente al titolo di re d'Italia, spettava ad Amedeo, ritenuto negli ambienti internazionali il solo degno di conservare il titolo di sovrano. Vittorio Emanuele mise in atto una controffensiva imprevista, la costituzione della Repubblica faceva decadere le leggi di successione della famiglia reale. Il contenzioso, niente affatto regale, è proseguito tra interviste, carte bollate, accuse, un repertorio più condominiale che di corte, atti di pentimento alla monarchia e di fedeltà alla Costituzione, dunque di rinuncia al trono,

incontri con vari esponenti del governo, Scognamiglio, Scalfaro, Cossiga, Prodi, Dini, il rientro dall'esilio nel 2003, tentativi di legittimarsi però smentiti dalla richiesta di un risarcimento di 260 milioni di euro per i danni dell'esilio accompagnata dalla domanda di restituzione dei beni confiscati.

Vittorio Emanuele si era messo in proprio sfruttando le sue conoscenze, come intermediario finanziario, impresa non degna di un re anche se mancato e con alcuni sospesi relativi a clamorosi fatti di cronaca. Era l'8 di agosto del Settantotto quando in Corsica, sull'isola di Cavallo, sparò e ferì a una gamba il diciannovenne tedesco Dirk Geerd Hamer che morì cinque mesi dopo. Vittorio Emanuele si difese dicendo di avere usato un fucile e non una pistola come risultava dalle indagini, venne prosciolto dall'accusa di omicidio volontario ma la giustizia francese lo condannò a sei mesi con la condizionale per porto abusivo d'armi da fuoco, fuori dalla sua abitazione.

Nel Duemila e sei nuovi guai, stavolta per associazione a delinquere, corruzione, falso, sfruttamento della prostituzione, grande spot pubblicitario del giudice Woodcock, arresto notturno del sovrano, trasferito alla prigione di Potenza, immagini televisive avvilenti, in auto, con i finestrini coperti da fogli di giornale. Ultimi fuochi nel ritiro di Ginevra, rare apparizioni in Italia.

La lite famigliare sembrava essersi assopita quando, estate del Duemila e ventidue, fu proprio Aimone a dichiarare: «Basta litigare, difendiamo insieme la dinastia». In verità il duello non è concluso, niente spade e armi da fuoco. Emanuele Filiberto ribadisce che il solo erede al trono fosse suo padre. Così aveva pensato anche Benedetto Croce. Prima che accadesse tutto il resto.

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