Manette al pentito «Gianni il bello» Con le sue bugie distrusse Tortora

Sorvegliato speciale fino dal 2011, Gianni Melluso è stato arrestato con la moglie: gestivano case per squillo straniere. Fu uno dei grandi accusatori del presentatore tv

Manette al pentito «Gianni il bello» Con le sue bugie distrusse Tortora

Da Portobello alle escort. Metamorfosi di un bugiardo che si atteggiava a play boy. Già ai tempi delle false accuse a Enzo Tortora di essere affiliato alla camorra e di smerciare cocaina col placet del boss milanese Francis Turatello, il rapinatore pentito Gianni Melluso, detto «il bello», ogni due per tre parlava di donne, ce le metteva dentro nelle interviste, dalle gabbie del tribunale le cercava con pose da fotomodello, credendosi un fico con quei doppipetti improbabili e la capigliatura fonata. A forza di recitare il copione giudiziario scritto per lui dai due brutti compari Pasquale «o' animale» Barra e Giovanni Pandico, il protagonista del caso-Tortora pensò bene di rovinare anche l'immagine e la reputazione di un donnaiolo inarrivabile, il cantante Franco Califano, dicendo che pure lui, come Enzuccio, si comportava malamente. Donne, droga e favori ai clan. Ne sparava di balle il collaboratore di giustizia. Passavano gli anni e Gianni il bello non perdeva il pelo, e soprattutto il vizio di dire minchiate. Nel 2000, al settimanale l'Espresso, arriverà a implorare il perdono dei familiari del presentatore televisivo senza dimenticarsi, in chiusura d'intervista, di accennare all'ossessione della vita sua: le belle guaglione: «Quanto a Califano era invece uno trasgressivo, un tipo come me, che ci accomunano le donne, le belle macchine...». Incorregibile.

Le donne di tutte le età che un tempo gli cadevano ai piedi, oggi le voleva solo giovanissime da piazzare a pagamento in appartamenti privati sul mare di Messina. E proprio nella sua nuova veste di magnaccia dello Stretto, Melluso è finito in cella. A casa, quando uscirà, lo aspetterà la moglie Raffaella, colpita da un ordinanza di custodia agli arresti domociliari perchè ritenuta sua complice nel business a luci rosse. Stesso provvedimento per una coppia di amici, Pellegrino Grisafi e Stefano Giovanni Ernesto, orbitanti nel clan che gli inquirenti ritengono guidato dal non più «bello» perché, come si vede in foto, Melluso appare un po'sfiorito dall'età. Il Nostro era pedinato e controllato da tempo. I carabinieri se lo sono cucinato a fuoco lento, l'hanno fotografato e intercettato mentre portava in tour le sue escort da un appartamento di Menfi a uno vicino al locale Happy Night di Sciacca (entrambi sequestrati). Quando sono riusciti a inoltrare al pm un bel po' di riscontri (le ragazze pagavano 1700 euro al mese per fittare una stanza e guadagnare fino a 1000 euro al giorno) hanno ottenuto dal gip le manette per Melluso per il reato di sfruttamento della prostituzione.

Se non fosse stato per quell'arresto in flagranza dell'aprile scorso perché girava in auto senza patente e senza curarsi delle restrizioni alla sorveglianza speciale, del «bello» s'erano perse le tracce. Nel 2007 tornò alla ribalta per la condanna a sei anni di prigione per calunnia nei confronti dell'ex pm Tiziana Parenti accusata falsamente (pure lei) di fare uso di sostanze stupefacenti e di abuso in atti d'ufficio, reati commessi a detta del fu pentito, nel lontano 1987 quando «Titti» faceva il pubblico ministero a Savona. Come per Tortora e per Califano anche per le accuse alla Parenti, Melluso chiese di essere creduto ciecamente dalla magistrazione relativamente alla ricettazione di alcuni grammi di cocaina proveniente da un carico sequestrato dall'autorità giudiziaria. Gli è andata male lì, è andate invece bene ai magistrati che credettero alle sue accuse e che in seguito alla sua ritrattazione finirono sott'inchiesta.

Chiamati a valutare l'operato delle toghe del caso Tortora, i giudici di Potenza conclusero che si trattò di un «errore giudiziario» e non di un teorema per screditare l'immagine del presentatore. Chi scrive il contrario, perde la querela.

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