Ieri, alla seconda notizia di donna uccisa in maniera selvaggia - ancora, sì, ancora - ci sono venute in mente le scene di un agghiacciante documentario girato qualche anno fa dalle parti del Polo Nord. Un uomo -meglio: un aguzzino, un sicario, un grandissimo mascalzone- ballonzolava sulla banchisa polare catafratto in un giubbone con cappuccio che ne mascherava i lineamenti. Lo sgherro - si vedeva di tre quarti, mentre oscillava sui suoi scarponi felpati che mordevano la crosta ghiacciata - corricchiava dietro un cucciolo di foca. E quando gli era a un metro lo abbatteva con una mazza, fracassandogli il cranio, per balzare subito dopo alle spalle di un altro cucciolo che cercava inutilmente di mettersi in salvo.
Una mattanza inarrestabile, una sorta di procedura senza appello, nonostante il raccapriccio universale che puntualmente quelle immagini suscitavano. Nonostante tutto il mondo dicesse, e continui a dire, che uccidere i cuccioli di foca fa schifo; che è orrendo piantare un arpione nella collottola di una balena inerme.
Da noi, nel ruolo di vittime, ci sono le donne. E non suoni sgradevole o sbagliato l'accostamento delle donne ai cuccioli di foca, o ai grandi mammiferi del mare. Identica la capacità di autodifesa, ovvero nessuna; identica la pena, accompagnata dalla stessa sensazione di disperante impotenza che si accompagna a questa orribile «moda». Orribile come il neologismo con cui si è pensato di definirla, e che qui non vogliamo ripetere.
La prima storia ha per teatro un basso napoletano, uno di quei tuguri che si affacciano sui vicoli del ventre di Napoli resi immortali dal romanzo «La pelle» di Curzio Malaparte. Una ragazza albanese, Toska Xhuli, 27 anni, una figlia di 4, massacrata di botte, con una profonda ferita alla testa. L'hanno trovata in via dei Tribunali, chiusa in un sacco della spazzatura, come un rifiuto. Come se il suo carnefice, convinto di averla uccisa, aspettasse il momento opportuno (il passaggio del camion della nettezza urbana?) per liberarsi di quel fardello. Lui, l'assassino, reo confesso, si chiama Emerson D'Esposito, 28 anni, origine brasiliana, adottato da una famiglia del napoletano. Un ultrà del Napoli. Un demente che ha risolto a cazzotti violentissimi una banale lite nata dalla decisione di Emerson e della sua tipa di mettersi insieme, lasciano sola l'albanese.
Più classico, nella sua belluina efferatezza, è l'omicidio di Sandita Munteanu, 38 anni, sgozzata in strada, nel centro di Foligno, dall'ex compagno che poche ore dopo si è ucciso dopo un rocambolesco inseguimento da parte dei carabinieri.
Virgil Murariu, si chiamava il tipo. Trentotto anni. Entrambi sposati, separati, conviventi per qualche tempo, lui e Sandita. Poi lei aveva detto basta, e lui non se ne era dato per inteso. Botte, minacce, il solito triste copione.
Ieri, dopo aver affrontato Sandita per strada e averle inferto un terribile fendente alla gola, Virgil è scappato. L'auto dell'omicida è stata intercettato a Terni e inseguita sul raccordo per Orte. Vistosi perduto l'uomo - secondo la ricostruzione dei carabinieri - ha accostato e si è colpito al cuore con lo stesso coltello con cui aveva ucciso la donna, morendo sul colpo.
Faceva la badante, la povera Sandita. La conoscevano, nel quartiere. Stavolta, se non altro, nessuno ha fatto finta di niente.
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