Meloni "brucia" Conte e Draghi: ecco perché

Ventiquattro ore di margine, un intervallo di tempo ristretto ma dall'elevato peso simbolico quello che Giorgia Meloni ha conquistato facendo del 29 dicembre la giornata decisiva per l'approvazione della Manovra in Senato

Meloni "brucia" Conte e Draghi: ecco perché

Il Senato ha approvato la fiducia sulla legge di Bilancio con 107 voti favorevoli, 69 contrari e 1 astenuto. Il provvedimento, già approvato dalla Camera, diventa così legge. Ventiquattro ore di margine, un intervallo di tempo ristretto ma dall'elevato peso simbolico quello che Giorgia Meloni ha conquistato facendo del 29 dicembre la giornata decisiva per l'approvazione della manovra in Senato. La prima legge di Bilancio del centrodestra passa all'esame di Palazzo Madama un giorno prima di quanto fatto da Giuseppe Conte e Mario Draghi nella loro prima (e per l'ex governatore Bce unica) Legge di Bilancio.

La manovra del Conte gialloverde del 2018 e quella di Draghi del 2021 furono entrambe approvate il 30 dicembre. Alla prima manovra Meloni incassa il sì definitivo il 29 e tutto questo nonostante le barricate dell'opposizione compatta che, protestando contro il governo per i tempi compressi del dibattito, hanno fatto slittare di un giorno la data decisiva per l'approvazione in Senato.

Altro che esercizio provvisorio! L'approvazione arriva in tempo e dopo una lettura attenta alla Camera che ha costretto a comprimere i tempi in Senato ma portato all'approvazione un testo "pulito", non passabile di critiche strutturali e in cui anche le opposizioni hanno fatto passare diverse proposte.

Dunque il presidente del Consiglio che alla sua prima prova del fuoco esce, al netto dello sprint e di alcuni incidenti di percorso, con il risultato acquisito su una Legge di Bilancio a cui il centrodestra di governo ha lavorato per poco più di un mese partendo dalla Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, ovvero dall'ossatura programmatica, scritta da Draghi. Tra un testo blindato alla Camera e nelle Commissioni, a costo di tempi più lunghi, per essere portato al Senato, l'attenzione ai potenziali rilievi di Commissione Europea, Quirinale e Ragioneria dello Stato e la richiesta immediata della fiducia la manovra di Giorgia Meloni centra il risultato sostanziale: evitare l'esercizio provvisorio. Parliamo del migliore dei mondi possibili? No, assolutamente. Ma Meloni non ha a disposizione né la granitica certezza dell'appoggio della Bce al debito italiano che aveva l'Italia nel 2018 né la copertura di una maggioranza di unità nazionale avuta da Draghi nel 2021. E dunque il risultato è di per sé degno di nota.

La manovra è "europeista" e attenta ai rilievi comunitari quanto - se non più - di quella del 2018, che Conte di fatto riscrisse da cima a fondo con Giovanni Tria scavalcando sul deficit Luigi Di Maio e Matteo Salvini dopo la trattativa con Bruxelles. E ha offerto un risultato finale deciso senza per questo chiudere allo spazio concesso tramite emendamenti alle richieste pragmatiche delle opposizioni. Pur concedendo loro alla Camera il massimo spazio compatibilmente con le forche caudine della scadenza del 31 dicembre per evitare l'esercizio provvisorio il governo Meloni, che governa con meno di due terzi del Parlamento a favore, è più celere nell'approvazione di quello di Draghi, che aveva una maggioranza del 90%. Draghi, peraltro, ai tempi subiva le intemperanze contro il suo governo del Movimento Cinque Stelle che iniziava lo sganciamento dalla maggioranza e nella discussione della manovra trovò una sponda di opposizione responsabile proprio in Giorgia Meloni e Fratelli d'Italia. A fine dicembre 2021 Il Riformista ricordava che "Fdi è stata al tavolo in ogni bilaterale, ha trattato, ha portato a casa ben 27 milioni (tantissimi rispetto al numero dei parlamentari e tutti destinati alle coperture per malattia)" in risorse e ha fatto di tutto per evitare che il Paese non scivolasse nel temuto esercizio provvisorio.

Per Giorgia Meloni aver concesso spazio, da premier e leader del principale partito di governo, spazio alle opposizioni salvo poi subire ostruzionismi e sabotaggi in Senato può aver avuto il sapore amaro della percepita ipocrisia. Ma l'approvazione è stata comunque più celere di quelle di molti esecutivi precedenti. E questo al netto del problema strutturale di un sistema che ha visto le ultime cinque leggi di bilancio discusse, di fatto, in una sola Camera del Parlamento: una prassi sicuramente subottimale ma a cui ogni formazione di governo si è, in passato, appellata per ovviare ai tempi stretti imposti dal giudizio europeo, dai vincoli di spesa e dalla negoziazione politica.

Considerare la Meloni peggiore dei suoi predecessori per questo approccio, con un governo nato da soli due mesi e che ha scritto la manovra a tempi di record portandola all'incasso in tempo e evitando al Paese l'esercizio provvisorio significherebbe criticare l'operato dell'esecutivo in maniera assai ipocrita.

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