"Mi condannano per aver pubblicato una notizia vera"

Paolo Berlusconi, editore del "Giornale", commenta la sentenza del caso Unipol: "A Silvio hanno dato un anno sul nulla, non ascoltò il nastro"

"Mi condannano per aver pubblicato una notizia vera"

Milano - Sollevato per la doppia assoluzione dalle accuse più gravi. «Onorato» dall'unica condanna, quella a due anni e tre mesi per lo scoop del suo quotidiano sul caso Fassino-Unipol. E indignato per la condanna a un anno di suo fratello Silvio per lo stesso episodio, «che è un episodio in cui non lui ha avuto il minimo ruolo». Così Paolo Berlusconi, editore del Giornale, appare due giorni dopo la sentenza che mette fine alla lunga vicenda giudiziaria seguita alla pubblicazione della festosa conversazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, «Abbiamo una banca!».

Come ci si sente a essere il primo editore condannato per una fuga di notizie, ovvero per uno scoop?
«Voglio premettere: anche questa accusa è totalmente infondata. Ciò detto, paradossalmente, mi sento onorato. Perché è una accusa che viene rivolta a un componente di una famiglia che è stata la famiglia in assoluto più intercettata d'Italia, e di cui si sono rivelate illecitamente tutta una serie di conversazioni. È la prima volta che un editore viene condannato per avere pubblicato una intercettazione e la cosa è ridicola se si pensa a tutte le cose uscite su mio fratello. C'erano dei siti indicati sull'Espresso dove si sentivano addirittura gli audio delle telefonate di Silvio. E questo gli italiani ce l'hanno ben presente».

Lei era preoccupato da questa sentenza?
«Io ero preoccupato soprattutto dalle altre accuse che mi venivano mosse in questo processo. Sono stato accusato per anni di una cosa falsa e per me assolutamente infamante, cioè di avere preteso dei soldi da un imprenditore italiano che voleva essere aiutato ad ottenere degli appalti all'estero. Io mi sono prestato a contattare un mio amico affinché verificasse la situazione, ma questi mi ha riferito subito che non ce n'erano i presupposti e la cosa è finita lì. Un signore invece parlando con l'imprenditore gli ha detto che io mi sarei attivato per quarantamila euro al mese. È stato detto per anni, è stato scritto sui giornali. Quanto fango su di me! La realtà invece è che questa persona si è intascata, a mia assoluta insaputa, sino a 560mila euro. E poi, una volta scoperta questa incredibile truffa, ha pensato bene di scaricare su di me la colpa».

Parliamo di Fabrizio Favata, lo stesso che ha raccontato ai giudici del nastro di Fassino. E che invece per gli appalti in Romania evidentemente non è stato ritenuto credibile.
«Certo. E ora mi aspetto che si instauri finalmente un processo, come avrebbe dovuto essere sin dall'inizio, con il reale colpevole sul banco degli imputati. Ora non più solo con l'imputazione della ricettazione e del millantato credito, ma anche della calunnia nei miei confronti. Fabrizio Favata ha una fedina penale pesante, è uno che vive di espedienti. Diceva cose incredibili, raccontava di avermi portato i soldi in ufficio quando in realtà saliva solo per portarmi la focaccia di Recco... Evidentemente i giudici se ne sono resi conto. A me resta il fatto di essere condannato per avere fatto pubblicare sul mio giornale una notizia assolutamente vera e mai smentita. Leggendo in questi giorni la vicenda del Monte dei Paschi di Siena, è chiaro che su quella intercettazione si sarebbe dovuto indagare meglio. Invece non venne nemmeno trascritta perché ritenuta irrilevante. Ma come si fa? Così va la giustizia in Italia».

Per questa vicenda rischia che vada tutto in prescrizione. Le va bene così? O preferirebbe una assoluzione piena?
«La fine di un processo è sempre un fatto positivo, basti solo pensare alle spese cui vai incontro e alla tensione che ti provoca il fatto di dover subire un processo. Una assoluzione nel merito sarebbe importante e giusta per me e per mio fratello, nei cui confronti viene ritenuta credibile la dichiarazione di Favata secondo cui avrebbe ascoltato l'intercettazione, mentre tutti gli altri presenti, cioè lui, io e Roberto Raffaelli, diciamo il contrario. Silvio lo hanno condannato sul nulla, lui l'audio non lo ha mai ascoltato e poi, anche se lo avesse ascoltato, che reato ci sarebbe? Ciò premesso, io mi auspico che anche su quest'ultima vicenda possa essere fatta piena chiarezza e dimostrata la nostra estraneità».

Pochi giorni fa la condanna definitiva da parte della Cassazione a risarcire centomila euro a Ilda Boccassini. Adesso a risarcire ottantamila euro a Fassino. Ha mai pensato come editore di dire ai suoi giornalisti: andiamoci più piano con i giudici, che la faccenda inizia a farsi costosa?
«Non solo l'ho pensato ma l'ho anche detto ai direttori, ho raccomandato loro di avere un atteggiamento assolutamente cauto, e cauto lo hanno sempre avuto. Purtroppo quando un magistrato querela, vieni poi giudicato da un altro giudice.... Io di tutte le querele che ho fatto credo di non averne mai vinta una, invece noi abbiamo sempre avuto torto nei confronti dei magistrati. Spero solo che non si inventino un reato di finanziamento illecito per tutti i soldi che abbiamo dato loro».

Nella sua citazione per danni contro il Giornale, Ilda Boccassini dice che in realtà il vero dominus del quotidiano è suo fratello. Lei ha l'impressione di trovarsi in uno scontro in cui il vero bersaglio è il Cavaliere?
«L'affermazione della dottoresse Boccassini è gratuitamente offensiva: il dominus del Giornale, cioè il suo editore, sono solo io. Come lo ha ampiamente confermato anche una recente relazione al riguardo del Garante dell'editoria. Purtroppo tutto quello che direttamente o indirettamente è collegato al nome Berlusconi è un bersaglio, quindi anche il Giornale. Noi stiamo facendo una battaglia di sostegno a mio fratello perché ci crediamo. Credo che se mio fratello non fosse intervenuto nel 1994 a interpretare il pensiero della maggioranza degli italiani avremmo vissuto in regime di tipo jugoslavo. In queste settimane Silvio ha ribaltato la situazione che si era creata e ha causato la fine ingloriosa di tanti noti personaggi che hanno dovuto addirittura abbandonare la scena politica.

Oggi siamo in una situazione drammatica e sarebbe bene che i responsabili dei due principali schieramenti mettessero da parte i loro pregiudizi e affrontassero l'emergenza Italia, concordando gli interventi più necessari, pensando almeno per una volta esclusivamente al bene del Paese».

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