Il mondo smaschera i trucchi della Merkel È l’ora degli Eurobond

Scoperto l’egoismo dei tedeschi, che hanno tratto vantaggi dalla crisi. Fmi in pressing: la Germania ceda sui titoli comunitari non speculativi

Il mondo smaschera  i trucchi della Merkel  È l’ora degli Eurobond

Il tempo è galantuomo e forse ci siamo. Il Fondo monetario internazionale, con Christine Lagarde, attacca Angela Merkel per i suoi errori ed egoismi. E noi, in Italia, abbiamo la possibilità di rialzare la testa. Recuperando il nostro ruolo in Europa e riprendendo in mano la nostra economia. Il governo italiano non può guardare i dati macro precipitare mese dopo mese e comunicarlo al Paese da spettatore inerte. Né può esserne compiaciuto, magari per preparare il terreno che gli consentirà poi di accreditarsi per l’ennesima volta (quante ancora?) come salvatore della Patria.

I dati economici congiunturali e di prospettiva sono negativi, il governo deve reagire. Come? Dicendo no al pensiero unico, no all’Europa tedesca e rivedendo nel profondo il ruolo della Banca Centrale Europea. Mettendo da parte il mantra del rigore per ripartire invece con crescita e solidarietà. E rilanciando il progetto degli Eurobond. Infatti il capo-economista del Fmi, Olivier Blanchard, - in un’intervista al Financial Times Deutschland - rivolge un appello alla Germania affinché ne accetti l’introduzione.

L’occasione si presenta al Parlamento: le commissioni del Senato stanno discutendo l’autorizzazione alla ratifica del fiscal compact, il nuovo Patto di bilancio sottoscritto il 2 marzo scorso da 25 Paesi dell’Unione europea (tra cui non rientrano Regno Unito e Repubblica Ceca), che prevede sangue, sudore e lacrime per gli Stati membri. Negli stessi giorni è prevista la discussione e l’approvazione del Documento di economia e finanza (Def) che contiene, all’interno del semestre europeo, il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma. Due occasioni che non possono passare come routine.

Il 13 aprile il Trattato è già stato ratificato dal Portogallo, ma il clima negli altri Paesi dell’Unione non è così sereno. In Germania il voto è previsto per il 25 maggio e la Corte costituzionale ha imposto una maggioranza di due terzi (ce l’ha Angela Merkel?). In Irlanda l’accoglimento passerà per un referendum popolare, che si terrà il 31 maggio. Sulla Francia pende la spada di Damocle delle elezioni e la palla passerà al futuro presidente (Hollande si è già detto contrario a una ratifica sic et simpliciter, Sarkozy è in grande imbarazzo di fronte al suo stesso elettorato). In Spagna rispettare le rigidità del fiscal compact comporta provvedimenti spaventosamente recessivi che il premier Rajoy non è propenso a varare.

Le misure del fiscal compact, che pongono limiti severi alle politiche economiche dei Paesi dell’area euro (con riferimento ai saldi di bilancio, agli investimenti internazionali, alle importazioni ed esportazioni, al costo del lavoro, eccetera), oltre a interferire notevolmente sulla sovranità nazionale degli Stati creano le condizioni per fasi recessive dell’economia sempre più acute, al punto tale da mettere in discussione la sostenibilità delle finanze pubbliche nei Paesi membri e da aggravare ulteriormente la crisi, lasciando sempre più ampi spazi alla speculazione internazionale. Un circolo vizioso. Di stampo chiaramente tedesco, cui bisogna iniziare a pensare di dire no. Per due motivi.

Uno: tra le occhiute misure previste dal fiscal compact ce n’è una, quella che fa riferimento alla variazione media degli ultimi 5 anni del valore delle quote di mercato delle esportazioni degli Stati membri, ove la soglia massima consentita al fine di evitare meccanismi automatici di correzione è fissata al 6%. Analizzando bene i dati, la Germania registra, guarda caso, una variazione pari proprio a 5,9%, cioè quel decimale in meno che non fa scattare alcun automatismo redistributivo. Di più: con un surplus del 5,9% la Germania ha un vantaggio competitivo di pari entità sulla crescita (potendo di fatto contare su un euro tedesco sottovalutato); al contrario dei Paesi più deboli che, invece, con la moneta unica sopravvalutata rispetto ai propri fondamentali, non riescono ad esportare e a fare affluire, in tal modo, importanti risorse nelle finanze pubbliche.

Due: il Bund, mitico titolo decennale del debito sovrano tedesco. Beneficiario ultimo dei sacrifici di tutti noi. Da un rendimento del 3,31% il 20 aprile 2011 è passato a un rendimento pari all’1,70% il 20 aprile 2012: praticamente dimezzato in meno in un anno. Allargando l’analisi su un periodo più ampio, il rendimento del Bund tedesco è passato dal 4,64% del 20 giugno 2007 all’1,70% di venerdì scorso: si è ridotto a quasi un terzo in meno di cinque anni. Cosa significa tutto ciò?

Certamente vuol dire che se lo spread tra i titoli decennali tedeschi e i corrispondenti buoni del Tesoro emessi dagli altri Paesi europei è aumentato, ciò non è avvenuto solo per un aumento del rendimento di questi ultimi, ma anche per la contestuale riduzione del rendimento dei Bund (lo spread, si sa, è un metro elastico che può essere tirato da più lati). Non ultimo l’esempio del 10 aprile scorso, quando i titoli decennali del debito tedesco hanno registrato il rendimento storico più basso, pari all’1,64% e abbiamo assistito in tutta Europa a un’impennata degli spread.
Fino ad agosto 2008 i Bund tedeschi a 10 anni hanno registrato, nelle aste, un rendimento superiore al 4%.

Da novembre 2008 (a settembre e ottobre non ci sono state aste di Bund decennali) a maggio 2011 tale valore si è attestato intorno al 3%. Poi è iniziata la bufera: da giugno 2011 i rendimenti dei Bund hanno cominciato a ridursi fino a raggiungere l’1,98% nell’ultima asta del 2011. Nello stesso periodo, negli altri Paesi dell’area euro succedeva esattamente il contrario: il rendimento dei titoli di Stato è quasi raddoppiato. Prendiamo ad esempio l’Italia: dal 4,73% di giugno 2011 ha raggiunto il rendimento massimo di 7,56% nell’asta di dicembre 2011. Inutile dire chi ci ha perso e chi ci ha guadagnato, o chi ha pagato il servizio del debito a qualcun altro. Già il confronto fra una sola asta del 2007 (quella di maggio, costata al Tesoro tedesco 272 milioni di euro) e un’asta del 2011 (quella di novembre, costata 72 milioni di euro) dice tutto: 200 milioni di minor costo per la Germania solo su un’asta e solo su una delle 8 tipologie di titoli di Stato emessi.

Sarà un caso, ma il rendimento dei Bund ha cominciato a ridursi proprio a giugno 2011, quando in Germania le banche hanno iniziato a vendere i titoli di Stato dei Paesi dell’area euro in portafoglio, innescando un meccanismo folle che ha generato panico sui mercati. Ne è derivato un forte aumento della domanda di titoli decennali tedeschi, considerati l’unico bene rifugio in Europa, e un corrispondente aumento del prezzo e riduzione del rendimento. Analizzando il secondo rapporto trimestrale di Deutsche Bank (30 giugno 2011) emerge che rispetto al 31 dicembre 2010, la principale banca tedesca ha ridotto irresponsabilmente la propria esposizione nei confronti del debito pubblico greco da 1,5 miliardi di euro a 1 miliardo (-28%) e l’esposizione in titoli di Stato italiani da 8 miliardi a 1 miliardo (-88%).
La stessa cosa si è verificata nei primi mesi di quest’anno: dall’analisi delle trimestrali delle principali banche americane è emerso che l’esposizione delle stesse nei confronti del debito sovrano dei Paesi più deboli dell’area euro si è ridotta, passando, per esempio, da 3,06 miliardi di dollari a gennaio 2012 a 2,4 miliardi a marzo 2012 (-21%) nella trimestrale di Morgan Stanley e da 10,3 miliardi di dollari a dicembre 2011 a 9,8 miliardi a marzo 2012 (-5%) nella trimestrale di Bank of America. Si spiega così, quindi, il ritorno delle preoccupazioni sui mercati finanziari e il rialzo degli spread dei principali Paesi europei nel mese di aprile.
La soluzione si chiama condizionalità sul fiscal compact in cambio degli Eurobond. Visto che il titolo decennale tedesco è il bene sicuro per antonomasia e che la Germania rappresenta la best practice in materia di titoli sovrani, per essere inattaccabili da critiche più o meno opportunistico-egoistiche, dobbiamo richiedere, in cambio dell’approvazione del fiscal compact, l’introduzione di un titolo decennale comunitario emesso con un rendimento pari al rendimento storico del Bund tedesco degli ultimi cinque anni: un, per così dire, «Eurobund» alla tedesca. Dai report della Federal republic of Germany finance agency si ricava che tale rendimento è pari al 3,34%. Così si sanerebbero in un unico colpo le discrasie e gli squilibri tra i Paesi dell’area euro e si riporterebbero ai livelli fisiologici pre-bufera speculativa i rendimenti dei titoli di Stato da questi emessi. Una proposta, dunque, semplice e chiara: non si può più andare avanti così, con un’area euro che sta morendo di rigore, a fronte di una Germania sempre più egoista e isolata.

O c’è un impegno preciso (con relativa comunicazione ai mercati) sulla tempistica dell’attuazione degli Eurobond (con rendimenti alla tedesca pre-crisi) o il fiscal compact non si approva. Con buona pace della signora Merkel.

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