Montezemolo, pilota chic che corre solo da gregario

Collezionista di nomignoli (da Spigolo a Nerone), ex pupillo dell'avvocato Agnelli, supermanager e riserva di lusso della politica. Ridotto a portare le borracce a Monti

Luca Cordero di Montezemolo
Luca Cordero di Montezemolo

Finalmente, Cordero di Montezemolo ha troncato l'equivoco da lui alimentato: non sarà il leader politico che ci ha fatto credere volesse diventare. Luca non si candiderà mai. La sua libera natura è quella manifestata per sessantacinque anni volteggiando tra gli incarichi, accumulando fortune, intrecciando amori e facendosi passare per Agnelli di complemento, con la condiscendenza degli Agnelli veri.
Colui che pareva la riserva politica d'Italia si limiterà ad appoggiare la lista Monti in posizione umile. Ha messo a disposizione Italia Futura, la sua fondazione, e spenderà in campagna elettorale qualche parola per il premier amato da Angela Merkel. Tutto qua. Un ruolo da portatore d'acqua, sempre che per Mario Monti sia un vantaggio avere Montezemolo dalla sua e non invece una palla al piede.

Perché Luchino si è fatto da parte all'improvviso? O è piuttosto una decisione maturata dopo avere ripensato a episodi della propria vita che gli hanno suggerito di rinunciare nonostante il tifo dei suoi cari, dall'amico Diego Della Valle al giornalista di riferimento, Paolo Mieli, che lo incitò entusiasta: «Fallo, sarò al tuo fianco»? Chi scrive un'idea se l'è fatta e la illustrerà senz'altro, anche se la vita di Luchino è così lieve e divertente da apparire una favola senza angoli bui.

Nato tra i colli bolognesi, dove vive tuttora, è il primo di tre figli di Massimo Cordero dei Marchesi di Montezemolo, antico ceppo piemontese legato ai Savoia. Scomparsa quella casata un anno prima della sua nascita - il lieto evento è del 1947 - Luchino si legò ai nuovi regnanti, gli Agnelli, nel modo più casuale. Frequentando a Roma il liceo Massimo dei Gesuiti, conobbe Cristiano Rattazzi - figlio di Suni Agnelli, sorella di Gianni - diventandone inseparabile. All'epoca, Luca era un tipo scattoso e ossuto, tanto da meritare il primo dei suoi tanti soprannomi: «Spigolo». Appassionato di auto, trovò in Cristiano uno spirito affine. I due presero a gareggiare in coppia all'autodromo romano di Vallelunga (su una Fiat 500) con nomi d'arte per non farsi scoprire dalle famiglie. Quello di Luca era «Nerone», il secondo soprannome. Quando comincerà a incettare incarichi, specialità di cui è il genio nazionale, sarà chiamato «Monteprezzemolo», traslato in «Montezuma» da Susanna Agnelli in un giorno d'umore azteco. «Libera e bella», come lo shampoo, è invece il nomignolo malevolo usato da quelli cui dà ai nervi la ventosa capigliatura da insidiatore di femmine che Luca inalbera 24 ore su 24. Introdotto in casa Agnelli, Montezemolo diventò il cocco della famiglia, iniziando sotto l'ala dell'Avvocato una lucrosa carriera di manager: alla Ferrari, accanto a Enzo, il fondatore; alle pubbliche relazioni Fiat; alla Cinzano; organizzatore di Italia '90; responsabile Juventus, dell'editrice della Stampa, di Rcs; di nuovo alla Ferrari. Insomma, l'intero bouquet Agnelli.

Il mondo, stupito da una benevolenza che superava di gran pezza i meriti, se ne chiese le ragioni e scomodò il talamo. Luca - si disse - è il figlio spurio dell'Avvocato, gran farfallone. Per puntellare la favola - che fa torto alla nobildonna, Clotilde Neri, mamma novantenne di Spigolo - si notò che «corderos» in spagnolo significa «agnelli». Scemate. Piuttosto va detto che dopo la morte di Gianni (il 24 gennaio ricorre il decennale), Luca, sull'abbrivio, raggiunse le sue vette, con le presidenze di Confindustria e Fiat (2004).
Con Luchino, quando si comincia a parlarne ci si incanta e non si finirebbe più. Figurarsi se cominciassimo a raccontarne gli amori e le cinque paternità. Le liti con Edwige Fenech nella villa di Anacapri con le urla echeggianti per l'isola; la liaison con Barbara Parodi Delfino (in seguito moglie del già citato Paolo Mieli) da cui nacque nel 1981, Clementina; il matrimonio, poi annullato, con la regista, Sandra Monteleoni, madre del primogenito montezemoliano, Matteo, classe 1977; le seconde nozze nel Duemila con Ludovica Andreoni, stilista, di 23 anni più giovane, che in dieci anni ha inanellato Guia, Maria e Lupo.
Smetto, se no trascuro la polpa. Ossia gli episodi che, tra le pieghe di questa vita felice, hanno - per come la vedo io - indotto Luchino a rinunciare alla candidatura per timore di essere fatto a fette.

Innanzitutto, due mesi fa è diventato vicepresidente dell'Unicredit per conto del fondo sovrano di Abu Dhabi al posto del dimissionario Khadem Al Qubaisi. Niente di male, ma ce lo vedete un aspirante premier rappresentare una satrapia islamica? Sempre nel 2012, gli è piombata la condanna definitiva a un anno di reclusione (pena sospesa) per abusi edilizi nella villa di Anacapri. C'è di peggio ma, con il moralismo corrente, anche certa robetta fa la differenza. Va poi ricordata la nota faccenda resa pubblica da Cesare Romiti, di quando Montezemolo ottenne ottanta milioni da un industriale per favorirne l'incontro con Gianni Agnelli. Era il 1981 e Luchino teneva l'agenda dell'Avvocato in Fiat. Il denaro, come ha raccontato lui stesso, vergognoso e pentito, gli fu consegnato nel cofanetto vuoto di un libro di Enzo Biagi. Un suo compare venne cacciato dall'azienda, lui - figlio dell'oca bianca - se la cavò con l'esilio alla Cinzano. «Fu l'Avvocato - non io - a procurargli una posizione alla Cinzano», precisò Romiti, aggiungendo che lui un Montezemolo politico non l'avrebbe mai votato.

Proseguiamo. Come presidente del Comitato di Italia '90, si occupò del recupero di dodici stadi, gettando al vento centinaia di miliardi di pubblico denaro. Lo stadio di Torino fu una tale frana che la Juventus lo ha buttato giù per farne uno nuovo. Quelli di Cagliari e Bari sono notori disastri. A San Siro, dopo il passaggio di Montezemolo, non è più ricresciuta l'erba. Nello stadio rifatto di Genova da alcuni settori non si vedeva il campo da gioco e si è dovuto rimetterci le mani. Un fiasco che avrebbe dovuto costargli la condanna contabile al risarcimento del danno. Un pessimo biglietto da visita nel caso si fosse candidato ad amministrare il Paese.

Mi limito, per tirannia di spazio, a un ultimo episodio che traggo da Agnelli segreti, indispensabile libro-inchiesta di Gigi Moncalvo. Quando, a metà anni Novanta, Luchino era responsabile della Juventus, versò per l'acquisto di Dino Baggio quattro miliardi in nero su un conto svizzero. A denunciarlo ai giudici, fu lo stesso beneficiario e presidente del Torino, Gian Mauro Borsano. Montezemolo evitò la condanna per evasione fiscale grazie a una provvidente amnistia.

Poi, come niente fosse, Luchino ha fatto il cardinal Bagnasco scrivendo Etica e capitalismo (2005) e adottando il motto: «Più etica per far ripartire l'Italia». Ora sta a Monti risolvere il dilemma: averlo per alleato è un piccolo vantaggio o una monumentale disgrazia?

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