Monti china la testa Ora ascolterà i partiti

Il Professore costretto a cambiare strategia e a concordare nei dettagli la sua azione con la maggioranza. Oggi il summit coi tre segretari. E spunta l’ipotesi rimpasto

Monti china la testa  Ora ascolterà i partiti

Roma - Monti, in questo frangente più debole che mai, cerca il soccorso dei partiti. La parola d’ordine pare cambiata: prima era «governare nonostante», ora «governare assieme» ai partiti. Tanto che qualcuno ventila perfino l’ipotesi di un ingresso al governo di qualche politico. Certo, sarebbe una bella stampella per un esecutivo che su più fronti traballa. Cammina piano, inciampa e, se va avanti così, rischia di non arrivare in fondo. L’obiettivo principale dell’operazione «siringata» di politici sarebbe quello di scavallare la data cardine di settembre, mese dell’inizio del semestre bianco. Napolitano non potrebbe sciogliere le Camere e quindi il governo Monti arriverebbe alla scadenza naturale del 2013. Ma questa tesi sbatte con difficoltà oggettive: chi far saltare della squadra dei tecnici? Più probabile l’altra opzione: che da adesso in poi il premier concordi preventivamente e minuziosamente la sua azione con la maggioranza, per evitare veti incrociati e mediazioni al ribasso come accaduto con la riforma del lavoro. Non a caso l’ex ministro Frattini dice chiaro: «I partiti devono sostenere il governo Monti o si rischia di tornare alla crisi che ha portato l’eurozona sull’orlo del collasso alla fine dello scorso anno». E ancora: «I mercati hanno detto: anche Monti è nella palude della politica e quindi torna il feeling di incertezza e ne hanno approfittato. Diamo un segnale che Monti va avanti comunque».
Rumors di Transatlantico, parlano inoltre di un rapporto non più idilliaco tra il Professore e il Colle. Diffidenze reciproche: il capo dello Stato avrebbe preferito meno approssimazione su alcune questioni tecniche come il problema degli esodati. Palazzo Chigi avrebbe invece subíto i «consigli» del Colle sulla questione mercato del lavoro. In ogni caso Monti sembra aver perso lo smalto grazie al quale brillava al suo esordio. Sul mercato del lavoro, a furia di cercare compromessi e ottenere l’appoggio di Bersani, il Prof ha partorito un mezzo pasticcio. Di fatto ha scontentato tutti: sindacati, imprese, partiti, investitori. E adesso sono proprio i partiti a correre ai ripari cercando di modificare un provvedimento contestatissimo. Questo nonostante il ministro Fornero continui a difendere a spada tratta la sua riforma dicendo che «avremmo potuto fare una riforma molto, molto più clamorosa composta non di 72 articoli ma di 2. Ma abbiamo una società complessa e abbiamo dovuto trovare una sintesi».
Ma Monti è nel mirino anche e soprattutto per le mancate politiche per la crescita. È vero che, come peraltro ha sempre detto Tremonti, «il Pil non si fa per decreto»; ma l’approccio fondamentalmente fiscale con cui s’è mosso il premier mostra tutti i suoi limiti. Recessione, famiglie al collasso, consumi al palo, accesso al credito bloccato e previsioni pessime. Proprio lo sviluppo sarà il principale capitolo di discussione del summit tra il premier e l’Abc, previsto per questa sera. Alfano, Bersani e Casini, almeno sullo sviluppo, sembrano marciare compatti nel chiedere una svolta. Per Bersani il tema di oggi «sarà quello di frenare la recessione e attivare misure urgenti per il lavoro». Per Alfano, invece, occorre metter mano alle cesoie nei confronti della spesa: «La via della crescita è la via obbligata per un Paese che non può solo tenere i conti in ordine pensando di restringere i cordoni - dice dalla sua Sicilia - La crescita si può finanziare anche con la revisione della spesa pubblica che elimina gli sprechi».
Certo, i margini di manovra del governo sono stretti, strettissimi. Il vincolo del pareggio di bilancio è un obbligo assoluto, reso ancor più gravoso dalle pessime notizie che quotidianamente arrivano dallo spread. Monti sarebbe tentato di anticipare la cifra che pensa di recuperare dalla lotta all’evasione ma se lo facesse tradirebbe un suo «must»: non considerare, come avvenuto in passato, i soldi incassati in futuro, di cui non si ha certezza. Così, di fronte all’emiro del Qatar, Sheikh Hamad Bin Khalifa Al Thaniil, il premier preferisce far da calamita al denaro straniero.

«In passato corruzione e burocrazia hanno scoraggiato gli investimenti in Italia - dice - E proprio alle misure contro la corruzione stiamo lavorando in questo momento». Quindi la rassicurazione che «nell’ambito della giustizia i primi obiettivi del governo sono stati imprimere velocità alla giustizia civile».

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