Mps, maxisequestro a Nomura Antonveneta costò 16 miliardi

Congelati 1.800 milioni dell'istituto giapponese e oltre 14 a Mussari & Co. I conti e gli sprechi segreti dell'affaire. La Finanza si presenta a Bankitalia

L'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari entra in Procura
L'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari entra in Procura

Mps, sprofondo rosso. Quasi due miliardi di euro (1,8 per l'esattezza) sequestrati dai pm di Siena alla banca giapponese Nomura protagonista dell'affaire derivati Alexandria. E mentre la Gdf acquisisce atti da Bankitalia, dalle carte emerge il vero salasso che è stata, per Mps, l'operazione Antonveneta: 16,7 miliardi, non 9 come si diceva inizialmente («al netto della liquidità effettiva la spesa è pari a 16.767.652.631,96», scrive la Procura) il costo per le casse del Monte. Contestualmente gli ex vertici del Monte (Mussari, Vigni e Baldassarri) sono indagati a vario titolo e in concorso, insieme a due ex colleghi del colosso nipponico (l'ad europeo Sadeq Sayeed e il funzionario italiano Raffaele Ricci, quello che ha guadagnato dal 2009 a oggi 13mila euro al giorno) per reati da capogiro finanziario in danno di Mps: si va dall'usura o truffa pluriaggravata all'ostacolo all'autorità di vigilanza, dall'infedeltà patrimoniale aggravata alle false comunicazioni sociali. Giocoforza i conti correnti dei protagonisti dell'affaire sono stati sigillati. Due milioni e mezzo a Mussari, quasi dieci a Vigni, 2,2 a Baldassarri. Tutti avrebbero portato un vantaggio a Nomura e uno svantaggio letale a Mps per salvare poltrone, ricchi stipendi e bonus. Ma quell'operazione per i pm «ha determinato, determina e determinerà immani conseguenze negative sulla liquidità e sull'operatività di Mps».

L'ACCORDO KAMIKAZE

Le 68 pagine del decreto di sequestro dei pm senesi tratteggiano una realtà da brividi relativamente al derivato Alexandria, sottoscritto con Dresdner Bank nel 2005 e che Mps voleva ristrutturare per «abbellire» i bilanci prosciugati dall'operazione Antonveneta. I referenti della banca del Sol levante e i vecchi capi di Mps, stando al decreto, «concordavano, organizzavano e ponevano in essere una strutturata operazione finanziaria pluriennale dissipativa del patrimonio Mps». Tutti d'accordo. Anche i dirigenti Nomura, punibili nonostante la famosa telefonata «registrata» a luglio 2009 per «incastrare» Mussari e dimostrare la propria trasparenza. Nel decreto la conference call è definita «sintomatica della volontà di Nomura di precostituirsi la prova della preventiva informazione della controparte». Il dirigente Mps Daniele Bigi a verbale dice di aver avuto la sensazione che fosse «una recita predisposta allo scopo di essere registrata». L'operazione e i contratti ad essa collegati sono «geneticamente ispirate da una finalità perversa ed occulta: ripianare una perdita su un investimento facendola sparire attraverso nuove operazioni».

UN CENT DI «DIVIDENDO»

Alexandria è un affarone per Nomura (guadagna 88 milioni di euro al momento della chiusura del contratto: per i pm sono commissioni occulte), una rovina per Mps. In tre esercizi «il risultato economico dell'operazione è passato da un utile 2009 di 20,6 milioni a una perdita 2011 di 1,4 miliardi». Va meglio al trio di vertice. Il bilancio truccato ha delle conseguenze. «Nell'aprile 2009 - annotano i pm - Mussari viene rieletto Presidente per il successivo triennio. Ma bisognava tuttavia ancora garantire bilanci in salute allo scopo di distribuire dividendi agli azionisti, pagare cedole agli obbligazionisti - in particolare quelli del cd Fresh tra i quali figurava la Fondazione MPS - nonché garantirsi bonus e preservare la posizione, di potere e prestigio, in seno a Mps». Non bisognava far sapere la reale situazione contabile su quei derivati. E oltre a mantenere la poltrona, come detto, c'era da remunerare la Fondazione Mps per l'esborso sostenuto al momento dell'acquisizione Antonveneta. Per farlo, la Banca doveva distribuire un dividendo agli azionisti, requisito indispensabile per pagare la cedola del Fresh, dunque foraggiando la Fondazione. Mussari propone al Cda di pagare un centesimo ad azione. Molti storcono il naso, il vice presidente Caltagirone è fra questi.

CALTAGIRONE INTERROGATO

L'ex vicepresidente spiega ai pm di essersi opposto: «Dissi che questa era l'occasione per non distribuire dividendi e per evitare di pagare la cedola(...). Non fu detto in quel Cda che, pagando il dividendo alle azioni di risparmio e conseguentemente la cedola del Fresh, la Fondazione Mps avrebbe avuto dei dividendi. Se ciò fosse avvenuto mi sarei ancora di più opposto alla distribuzione di quel simbolico dividendo».

IL DANNO

Così, distribuendo «un dividendo simbolico complessivo di 188.643 euro» agli azionisti, Mussari & Co. fanno «scattare il meccanismo di remunerazione dell'usufrutto in favore di JP Morgan (con conseguente pagamento della cedola del Fresh) e la corresponsione di 52 milioni di euro. La conseguenza di tale sconsiderata condotta e stata un depauperamento della patrimonializzazione della banca».

LA FOLLIA DEL NORD EST

Impoverimento iniziato con l'acquisizione folle di Antonveneta dal Santander di Botin. L'ex ad di Antonveneta, Montani, racconta lo «smarrimento» di Mussari e Vigni quando gli riferì dei 7 miliardi e passa di debiti che la banca veneta portava in eredità (e che porta il conto finale ai 16 miliardi di euro), tanto che pensò: «Ma questi hanno capito veramente quanto devono pagare?».

Parole che per i pm provano «da un lato la macroscopica dissennatezza dimostrata dai vertici della banca nella conduzione delle trattative, dall'altro il gravoso impegno economico, con conseguente ricaduta sulla tenuta del bilancio, che Mps avrebbe dovuto sopportare».

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