Nessun indulto risolverà il problema del record di suicidi nei penitenziari

L'Italia divisa tra chi pensa alla galera come punizione e chi scopre l'emergenza soltanto se riguarda l'Ungheria

Nessun indulto risolverà il problema del record di suicidi nei penitenziari
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È colpa del governo precedente, o, forse, il problema delle carceri è una colpa del governo ancora precedente, che però incolpava quello precedente, e via retrodatando sino alla Costituente. Quindi guardiamoci nelle palle degli occhi e diciamoci la «verità», che non sia, però, la solita verità che pure è verissima: ossia che nessun indulto (figuriamoci un'amnistia) farà dissolvere i suicidi tra le sbarre, compresi quelli dei sette poliziotti penitenziari che mediamente si tolgono la vita ogni anno; una verità che non sia solo, pure, quella del sovraffollamento in rapporto allo spazio vitale che a Bruxelles invocano per i maiali, la verità del 40 per cento dei nostri penitenziari costruito prima del 1900 (o al massimo prima del 1950) o quella dell'acqua calda che manca nel 45,4 per cento dei casi.

Il problema, quello «vero», non sono neanche le condanne al nostro Paese della Corte europea (Cedu) e neppure che, a destra, c'è chi risolverebbe tutto buttando via la solita chiave mentre a sinistra c'è chi scopre il problema solo se si parla di carceri ungheresi, dove pure si forgiano carriere da europarlamentare. Ci avviciniamo alla verità «vera», però, se ricordiamo che dei carcerati, in pratica, importa solo al Papa e ai Radicali (curiosa antinomia) oltreché ai politici che ci sono stati dentro, ci avviciniamo, anche, se ammettiamo che in galera si suicida davvero troppa gente (siamo al record dal Dopoguerra) e che qualcosa occorre fare per forza, comunque la si pensi. Sempre che si pensi qualcosa: considerando che sulle carceri, in Italia, esistono solo due fronti.

Il primo ignora l'articolo 27 della Costituzione e pensa che il carcere debba essere una punizione o un impedimento fisico a delinquere (funzione retributiva) e poi c'è il secondo fronte, eccolo, che pure lui ignora l'articolo 27 della Costituzione perché finge anche d'ignorare che il carcere, qualsiasi carcere di un paese occidentale che abbia decine di milioni di abitanti, si riduce sempre a una fabbrica o a un corso di perfezionamento per delinquenti. In Italia la maggioranza di chi sconta la pena (anche tutta la pena) torna dentro perché delinque di nuovo, anche se poi, certo, se andiamo in Norvegia, si vedono i detenuti con la palestra e internet e allora tu guarda, la

percentuale di recidivi è bassissima: ma noi non siamo la Norvegia, non possiamo esserlo, non lo saremo mai. E non lo sarà neanche la Francia, condannata anch'essa per sovraffollamento ma infarcita di buoni propositi: 15 mila nuovi posti entro il 2027, e nuove strutture, carceri, misure alternative, tutte col presupposto che la galera debba essere l'ultima misura in materia correttiva. Bravi, ci crediamo tutti, sembra l'Italia, sembra quasi di rileggere il nostro citato articolo 27 della Costituzione, quello che le pene non devono essere inumane, quello che devono tendere alla rieducazione del condannato.

Peccato che a non essere la Norvegia sia anche l'Austria, la Romania, l'Ungheria, un'altra decina di paesi «civili» tutti con carceri strapiene più o meno come le nostre: tutte nazioni in cui tanta gente dice che basterebbe costruire nuove carceri, ma dove poi, se si spendono soldi per costruire nuove carceri, e non si spendono per altre cose, la gente s'incazza il doppio.

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