In nome del popolo italiano

di Questa è una storia drammatica che parla di vicende legate alla criminalità organizzata, alla camorra, al traffico di stupefacenti e alle guerre tra faide a Napoli. Una storia che ha come sfondo il profilo peggiore di questa nostra Italia incorniciato nell'incantevole paesaggio partenopeo.
Questa è anche la storia di un uomo, Giovanni De Luise difeso dall'avvocato Carlo Fabbozzo, prima accusato di essere l'omicida di Massimo Marino e poi scagionato dalla stessa procura della Repubblica di Napoli con i pubblici ministeri Lepore e Castaldi ma ancora oggi dopo otto anni in carcere a Lecce.
La faida vedeva coinvolti alcuni clan camorristici facenti riferimento ai gruppi dei Di Lauro di via Cupa dell'Arco a Secondigliano e degli scissionisti capeggiati dal boss Raffaele Amato. Era la faida di Scampia che da ottobre del 2004 a febbraio 2005 vide lo svolgersi di una vera e propria mattanza quotidiana a ogni ora del giorno, tra folle terrorizzate, con l'obiettivo del controllo del traffico di droga. Centinaia di vittime insanguinarono le strade di Scampia; uomini dei clan, familiari in parte vicini alle cosche ma anche vittime innocenti.
Colpire gli innocenti faceva parte di una strategia ben precisa già adottata dalla «Nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo tesa a costringere gli avversari ad uscire allo scoperto. La faida di Scampia ha inizio il 28 ottobre del 2004 e ha come vittime Fulvio Montanino e Claudio Salerno uccisi dagli scissionisti. Poi quotidianamente si spara e si uccide per strada, nelle piazze; cadono tre marescialli dei carabinieri che camminavano in borghese nelle vie di Scampia e che furono scambiati per membri di un gruppo rivale. Clamoroso fu il 7 dicembre del 2004, quando alle quattro del mattino circa mille uomini delle forze dell'ordine circondarono Scampia e Secondigliano catturando con cinquantun ordini di custodia cautelare decine di malavitosi. In quell'occasione le donne del rione «terzo mondo» scesero in piazza aggredendo i poliziotti.
Pochi giorni dopo, l'11 dicembre alle 16.44 nella Strada Casavatore, fu ucciso Massimo Marino, innocente cugino di Gennaro Marino, ras degli scissionisti. L'omicidio di Massimo Marino per gli investigatori era la risposta dei Di Lauro all'uccisione, avvenuta tre ore prima di Antonio de Luise finito nel mirino degli scissionisti. La svolta per queste indagini avviene attraverso le intercettazioni telefoniche. Infatti i carabinieri della Dda mettono cimici ovunque per combattere la drammatica faida camorristica. Ed è grazie ad una intercettazione fatta alla sorella di Massimo Marino, Cinzia, che i carabinieri arrestano Giovanni De Luise incensurato fratello di Antonio anche lui vittima della mattanza quotidiana. Cinzia Marino, disperata all'obitorio di fronte alla salma del fratello, rivolgendosi a un'amica vede la sagoma di Giovanni De Luise e lo riconosce come il killer del fratello. Giovanni de Luise, fino a quel momento incensurato spedizioniere di ventitré anni fu arrestato; movente e testimonianze non lasciavano spazio ad interpretazioni, era lui l'assassino di Massimo Marino.
Giovanni De Luise viene condannato a 22 anni di carcere in via definitiva. Anche durante il processo le dichiarazioni testimoniali di Cinzia Marino, sorella della vittima, sono drammatiche e inconsuete. Infatti durante il dibattimento la donna, nell'aula della Corte d'Assise, guardando negli occhi Giovanni De Luise lo accusa dell'omicidio del fratello.
Cinzia Marino diventa una teste protetta e, in un mondo fatto di omertà, le sue dichiarazioni a viso scoperto appaiono coraggiose e di esempio. Da quel dicembre del 2004 De Luise passa sei anni in carcere, dichiarando sempre la propria innocenza, fino a quando, all'inizio del 2010, spuntano altri due collaboratori di giustizia; Antonio Prestieri e Antonio Pica. Questi, durante un interrogatorio coperto da omissis, scagionano Giovanni De Luise dall'omicidio di Massimo Marino. Le dichiarazioni sono così attendibili che è la stessa Procura di Napoli nel nome del procuratore Giandomenico Lepore e Stefania Castoldi, a firmare l'istanza di revisione del processo. Un fatto storico, importante e di grande civiltà il mea culpa della Procura che riconoscendo un errore cerca di porne rimedio. Tutto questo avveniva nell'aprile del 2010.
Oggi a due anni e mezzo da quell'ammissione di errore Giovanni De Luise è ancora detenuto nel carcere di Lecce in attesa di giudizio. Non mi sento di esprimere alcun giudizio se non quello positivo nei confronti di quei pubblici ministeri che cercano di porre rimedio a un errore giudiziario.


Lasciatemi però la possibilità di rimanere perplesso su un andamento giudiziario che vede, a due anni e mezzo dalla richiesta di revisione del processo fatta dalla procura di Napoli, una persona ancora detenuta.
@terzigio

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