Il nuovo business per "l'emiro" D'Alema: consulente per il gruppo che vuole Lukoil

Dai ventilatori cinesi alla mediazione con Fincantieri: continua la seconda vita del Lìder Massimo come uomo d'affari. Ora lavora per il Medio Oriente

Il nuovo business per "l'emiro" D'Alema: consulente per il gruppo che vuole Lukoil

Da Lìder Massimo a Emiro D'ohalema il passo è breve. L'ex premier Massimo D'Alema (nella foto) non molla la passione per gli affari e continua a rispolverare il suo ruolo di mediatore nonostante i non precedenti. Ventilatori cinesi, mascherine, poi sommergibili e aerei. E ora rieccolo in azione come consulente per conto del gruppo di investitori, guidati dal tycoon del Qatar Ghanim Bin Saad al Saad, pronti a competere per rilevare la raffineria della russa Lukoil a Priolo.

Proprio D'Alema negli ultimi giorni ha accompagnato i qatarini a un incontro con il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, entrando in azione dopo il decreto del governo che ha messo la raffineria Isab sotto amministrazione fiduciaria per scongiurarne la chiusura, visto che fornisce il 25% della benzina destinata all'autotrazione in Italia. Una mossa a sorpresa, quella di Doha con D'Alema a fare gli onori di casa col governo, che vede i soldi provenienti dal Qatar contendere l'acquisto dell'impianto al fondo Crossbridge.

La partita nel polo petrolchimico siciliano è delicata, ma conferma la seconda vita di D'Alema come uomo d'affari. Consulente con la sua DL&M e, fino alla scorsa primavera, anche per conto del colosso americano Ernst&Young, negli ultimi anni oltre a qualche puntata nella politica si è fatto notare soprattutto per le scorribande nel mondo del business. Non era andata benissimo durante il Covid quando la sua intermediazione tra Italia e Cina aveva permesso, come disse lui stesso, di recuperare dei ventilatori polmonari da Pechino.

Erano 140, non a norma, mancando del marchio CE, anche se D'Alema negò la circostanza, sostenendo di aver solo «dato una mano», addirittura anticipando i soldi grazie a un'associazione della quale era presidente onorario, «nel momento più drammatico della pandemia» e «in virtù delle mie buone relazioni internazionali coi cinesi». Cina e via della Seta sono luoghi familiari per D'Alema, che a Pechino punta, per esempio, con i vini prodotti dall'azienda di famiglia in provincia di Terni, «la Madeleine». E anche nella vicenda dei 5 milioni di mascherine e dei 430mila camici comprati in Cina ma privi di certificazioni, il suo nome è saltato fuori. Non come indagato, ma come persona tramite la quale gli indagati puntavano a contattare l'allora commissario Domenico Arcuri.

Ma non solo all'Estremo Oriente guardano gli occhi dell'ex lìder Massimo, che non ha disdegnato di volgere lo sguardo verso la Colombia. Provando di giocare di sponda, tra febbraio e marzo, tra i colossi Leonardo e Fincantieri e il governo colombiano. L'ex premier avrebbe provato a facilitare l'assegnazione di una ricca commessa (4 miliardi) per due sottomarini, quattro corvette e 24 caccia Alenia Aermacchi M-346.

Anche in quell'occasione D'Alema, a polemiche esplose, spiegò di aver voluto dare una mano a titolo gratuito anche perché le due aziende italiane sono clienti del suo ex datore di lavoro E&Y, ma l'ex sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé parlò di ingerenza «irrituale e da chiarire». E l'affare, alla fine, andò in fumo. Adesso, Baffino ci riprova con il Medio Oriente. Andrà meglio?

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