È ora che il governo difenda la Bce dalle mire tedesche

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Il recupero di oltre il 6% della borsa di Milano non è isolato. A esso si affiancano quelli attorno al 4%, quello dell'indice Dax della borsa di Francoforte e dell'indice Cac della borsa di Parigi. Venerdì sono state rimeditate, in modo positivo, le frasi dette giovedì dal presidente della Bce Mario Draghi, allora ferocemente contestate dai leader politici tedeschi della maggioranza di Angela Merkel e dell'opposizione socialdemocratica, dal presidente della Bundesbank e dal quotidiano economico Handelsblatt. Draghi aveva fatto un discorso razionale, basato su argomenti seri, riguardante la missione della Bce, la Banca centrale europea, che è quella (...)

(...) di difendere la stabilità monetaria. Quando vanno alle stelle le quotazioni dei titoli del debito pubblico di Spagna e Italia, sotto la pressione artificiale di movimenti speculativi e di timori irrazionali circa la sorte della moneta in cui essi sono espressi cioè l'euro, è naturale che la Bce si muova per calmierare queste tensioni, onde evitare che perisca Sansone assieme ai Filistei. La tesi corrente in Germania giovedì era che le operazioni preannunciate Draghi non le potesse fare, in quanto con esse - indirettamente - si aiutano le finanze pubbliche degli Stati in difficoltà. Che invece debbono aiutarsi da sé con i propri compiti a casa e con l'aiuto avaro e lento dei Fondi europei Fesf (Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria) e Mes, (Meccanismo europeo di stabilizzazione) facendo atto di sottomissione a chi li controlla, cioè la Germania. Il giorno dopo gli operatori finanziari hanno cominciato a rendersi conto che i diktat di Berlino sono frutto di una pretesa irrazionale di esercitare un potere improprio. E ci si è resi conto che la Bundesbank, per quanto importante, nella Bce conti solo per il 18%, mentre sommati insieme il 12,4% dell'Italia, il 14,2 della Francia, l'8,3 della Spagna, il 2,4 del Belgio e le quote minori di Portogallo, Grecia e Irlanda fanno il 40% ossia la maggioranza assoluta del 70% costituito dalle quote degli Stati dell'Eurozona. A questi voti vanno aggiunti quelli del Regno Unito che è interessato alla espansione monetaria della Bce, di cui ha bisogno. E la sua quota è il 14,5%. Così, la maggioranza su cui può contare Draghi arriva al 64%. Anche la pretesa di costringere ogni Stato che vuole fondi dal Fesf o dal Mes a sottoscrivere protocolli dettagliati di sottomissione dettati da Berlino è eccessiva, dato che in questo modo si confondono le crisi di solvibilità (per cui tali protocolli sono logici, in quanto si debbono fare operazioni di risanamento strutturale) con le richieste riguardanti il contrasto alle operazioni speculative contro l'euro, che riguardano invece problemi di liquidità. E le quote del Fesf e del Mes di Italia (17,9), Francia (20,3), Spagna (12), Belgio (3,4) Portogallo (2,5) e Grecia (2,8) danno luogo a una maggioranza del 59,8% contro il 27,13 della Germania. La cui prepotenza, quindi, è ingiustificata. Anche i tedeschi debbono essersi resi conto di avere esagerato, dato che non dispongono di una coalizione maggioritaria né nella Bce, né nel Fesf e nel Mes. E poi, analizzando le frasi di Draghi, si vede che la pretesa di chiedere impegni strutturali dei governi come condizione per l'acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario da parte della Bce è eccessiva, perché gli interventi di questa riguarderanno titoli a breve termine o al massimo con durate residue triennali. Tutto bene, dunque? Non credo. Ciò che ho appena esposto riguarda la sfera del razionale. I comportamenti di giovedì riguardavano la sfera dell'irrazionale e dell'irragionevole. Un giorno prevale la ragione e il gioco del cerino acceso non lo si fa. Ma il giorno prima dominava l'irragionevole col gioco del cerino acceso. Che potrebbe ricominciare. Occorrerebbe che il nostro governo avesse più polso e fosse meno supino alle pretese tedesche, che sono sproporzionate. Inoltre è necessario che tutti gli Stati rispettino maggiormente l'autonomia della Bce. Monti lo dovrebbe pretendere.

A Monti, inoltre, si chiede di far presente che sino a ora l'Italia per gli aiuti a Irlanda, Portogallo, Grecia e Spagna ha già speso 68 miliardi. È un creditore dei fondi europei, non un debitore. Abbiamo il diritto e il dovere a far valere il nostro peso.

di Francesco Forte

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