La partita a scacchi sul presidenzialismo continua tra mosse tattiche, manifestazioni di interesse e bluff assortiti da parte di quasi tutti i partiti. Sì, perché su una riforma di questo tipo - che tutti sanno essere molto gradita da parte degli elettori - non è contemplato un sincero «no, grazie, non ci conviene». Ci si muove piuttosto sul filo di una comunicazione che recupera i bizantinismi, ormai vagamente vintage, della Prima Repubblica. Ci si appella ai tempi stretti, al rispetto delle priorità, al gioco delle «contropartite». Insomma tutto il classico armamentario necessario al perfetto rinvio sine die.
Un fatto, però, è certo: il Pdl continua a spingere sull'acceleratore. E vuole a tutti i costi portare le Camere a esprimersi in un voto per accendere i riflettori e distinguere l'identità degli innovatori e quella dei conservatori. «Non è più tempo di rinvii e piccoli tatticismi. Il tempo stringe. Chi non vuole il presidenzialismo voti contro e se ne assuma la responsabilità» spiega il vicecapogruppo, Pietro Laffranco. L'ora della verità s'avvicina. Giovedì sette giugno il pacchetto di riforme costituzionali varato martedì notte in commissione approderà nell'aula del Senato. Ci saranno quattro giorni di tempo per gli emendamenti e tra questi spunterà il «jolly» del presidenzialismo.
Cosa accadrà a quel punto in aula? Sulla carta praticamente tutte le forze in Parlamento, a parte il Pdl, dovrebbero bocciarlo. La Lega alcuni giorni fa con Roberto Maroni ha definito la proposta fuori tempo massimo. Poi, quando ha capito che si faceva sul serio, ha ammorbidito la posizione. «Dobbiamo guardare gli emendamenti: quando il Pdl li presenterà, li valuterò attentamente» spiega Roberto Calderoli. «Ma non siamo pregiudizialmente contrari». La base per un accordo potrebbe essere quella di un rilancio sul fronte del Senato federale. A Palazzo Madama Pdl e Lega sono in grado di ottenere la maggioranza. C'è poi l'incognita Udc. Sulla carta è il partito più lontano dallo spirito di questa riforma, visto che il doppio turno costringe alle aggregazioni e sposta la barra del potere più verso il cittadino che verso il Parlamento. Pier Ferdinando Casini, però, dopo le chiusure iniziali ha assunto una posizione più blanda, mentre Rocco Buttiglione ha concesso un «favorirebbe la riaggregazione dei moderati». Dalle parti di Via dei Due Macelli si fa capire che «non sarà l'Udc a far saltare il banco». Il quotidiano Europa, in tal senso, riportava indiscrezioni rispetto a una cena che si sarebbe svolta all'indomani dei ballottaggi tra Angelino Alfano, Gianni Letta, Casini e Maroni per discutere di questa ipotesi e inaugurare la stagione del disgelo in vista del 2013.
Nel Pd le acque restano agitate. Pierluigi Bersani temporeggia. «Il semipresidenzialismo non è un tabù nè una bestemmia ma non si può fare per emendamento». Massimo D'Alema approva. «Non avrei nulla in contrario. A questo progetto stavamo lavorando ai tempi della Bicamerale».
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