GerusalemmeIl linguaggio del Papa è universale. É a capo della Chiesa di tutto il mondo e deve parlare agli oltre due miliardi di cristiani in ogni angolo del Pianeta. In effetti, la conoscenza delle lingue straniere è condizione ritenuta «preferenziale» per la scelta del Pontefice da eleggere in Conclave. Ma se Papa Francesco brilla per il suo linguaggio gestuale e per la sua semplicità che gli consentono di arrivare a tutti gli uomini, altrettanto non si può dire con le lingue straniere parlate da Jorge Mario Bergoglio. Prova ne è stata la visita in Giordania, Palestina e Israele, durante la quale il Papa argentino ha tenuto 11 discorsi, tre omelie e un Regina Coeli, interamente in italiano.
Lo stesso è avvenuto negli incontri con il re di Giordania, con il presidente palestinese Abu Mazen e con il presidente israeliano, Shimon Peres. Francesco si è rivolto loro sempre in italiano; a fianco a lui c'era sempre un francescano della Custodia di Terra Santa pronto per la traduzione.
Bergoglio ha però voluto lasciare in Terra Santa il suo segno spagnolo. Come la preghiera del Padre Nostro inserita in una fessura del Muro del Pianto, a Gerusalemme, scritta di suo pugno nella sua lingua madre; o il messaggio impresso nel libro d'onore allo Yad Vashem, nel quale ha ripetuto il grido contro la mostruosità della Shoah. «Nunca mas! Nunca mas!», ha scritto Francesco. «Mai più, mai più!».
D'altronde lo spagnolo è la madrelingue e nei messaggi scritti si sente più sicuro. L'italiano, Papa Bergoglio, lo conosce bene anche grazie alle sue origini italiane: la famiglia del padre era piemontese e il Papa ha sempre parlato la lingua di Dante. Mastica invece poco bene l'inglese, soprattutto per quanto riguarda la pronuncia. Anche sul francese zoppica non poco, mentre il tedesco l'ha studiato durante la sua permanenza in Germania, ma non lo parla molto.
Nel suo primo viaggio internazionale, appena eletto, il Papa ha provato a pronunciare alcune parti dei suoi discorsi in portoghese, ma con scarso successo. Da lì, la scelta di utilizzare sempre l'italiano, come nel viaggio in Terra Santa appena concluso. Forse è proprio a causa della sua difficoltà nell'utilizzare le altre lingue straniere, che Papa Francesco - a differenza dei suoi predecessori Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, considerati poliglotti - ha deciso di sopprimere il saluto nelle differenti espressioni linguistiche al termine delle udienze generali del mercoledì. Così come, sempre distinguendosi dai suoi predecessori, Bergoglio ha voluto abolire il breve saluto nelle diverse espressioni linguistiche durante la benedizione Urbi et Orbi di Natale e Pasqua. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI erano arrivati a salutare in oltre 70 lingue straniere, tra cui anche l'arabo, l'ebraico, il cinese e l'indiano. In tutte le udienze con i capi di Stato poi è sempre presente un traduttore. Così è stato nell'incontro con il presidente Obama, o con il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
D'altra parte lo stesso Papa non ha mai fatto mistero della sua ritrosia a usare le lingue straniere. Nel libro-intervista di Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, l'allora arcivescovo di Buenos Aires raccontava le sue difficoltà con le lingue straniere per la scarsa attitudine alla musicalità. E ammetteva di utilizzare raramente sia il francese che il tedesco.
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