La disoccupazione è alle stelle, le tasche italiane son vuote e il Natale s'è fatto più magro. In risposta al fioccare di licenziamenti e titoli di giornale allo spread c'è chi vorrebbe assumere, ma da assumere non trova nessuno. A mettere sotto l'albero (altrui) il ricco regalo è Antichi Telai, azienda impegnata dal 1894 nel confezionamento di abiti e camicie su misura. Peccato che a scartarlo, il pacco-lavoro, non si siano presentate ancora mani buone: la ditta abruzzese, che conta una cinquantina di sarti tra dipendenti e collaboratori, da mesi cerca senza successo artigiani d'ago e filo, anche apprendisti.
Se in tempi di crisi questa è di per sé una notizia, a far sobbalzare è il dettaglio messo sul piatto dal titolare Antonio Di Pietrantonio: «Un sarto qualificato e a pieno ritmo può arrivare a guadagnare cinquemila euro al mese». L'incomprensibile ha una spiegazione, che passa «dall'assenza di formazione. Regioni ed enti locali hanno tagliato gli incentivi che permettevano alle piccole e medie imprese di investire sul personale», tanto che «siamo stati costretti a rinunciare al nostro fiore all'occhiello, la puntualità. La mancanza di nuove leve e di una scuola valida dimostra soprattutto un'involuzione culturale».
Involuzione che vede la professione manuale, quella fatta di tradizione e conoscenza ed esperienza, svilita. Una svalutazione in favore della laurea a tutti i costi, della carriera che, si spera, corrisponderà al portafoglio gonfio. «Un errore soprattutto famigliare, questo. L'ho commesso io per primo - sospira Di Pietrantonio - sperando che mia figlia potesse contare su possibilità che a me sono state negate». Ma i master non valgono molto più di un'azienda di eccellenza del made in Italy da tre generazioni, forse. Un cambiamento, quello che ha portato alla semi-sparizione di figure professionali come i sarti, da ricucire agli anni Novanta, «alla prima grossa crisi che ha portato alle delocalizzazioni assassine di distretti». L'eccellenza che disperde il proprio sapere, nella sartoria «come negli altri settori produttivi, dalle calzature alla lana».
Perché ad ogni distretto corrispondevano scuole professionali, aziende vogliose e bisognose di manodopera ben istruita. Perché a «livello sindacale gli interessi risiedevano nelle grandi imprese, non nelle piccole realtà», sottovalutate, per il titolare di Antichi Telai, soprattutto dalla classe dirigente «colpevole di non aver saputo valorizzare il patrimonio nazionale: l'abilità artigiana».
L'esigenza di fare un passo indietro, l'arrivo prepotente di lavoratori stranieri - «da Pakistan, Est Europa e India, che ancora non padroneggiano la manualità importante e qualificata indispensabile nella sartoria dedicata al comparto uomo» - e la miopia politica. I vecchi a lasciare un vuoto oggi non colmato, la maestria italiana sgretolata in piccoli pezzi e «l'assenza del giusto approccio all'artigianato. Al fatto che quello del sarto, più in generale quello dell'artigiano, è un mestiere che può fornire molte soddisfazioni».
I presunti perché alla difficoltà di Antichi Telai nel reperire manodopera non mancano. Basta sceglierne uno o miscelarli tutti.
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